La migliore dieta possibile, sana buona ed equilibrata, grazie alla quale gli italiani sono diventati tra i più longevi al mondo. Questo è ciò che il resto del mondo pensa del modo di alimentarsi degli italiani.
Ma ovviamente non è quello che minoranze agguerrite e autoreferenziali pretendono di imporre nella comunicazione alimentare nel nostro Paese attaccando ora la carne, poi lo zucchero, quindi questo o quell’olio con una criminalizzazione dei singoli alimenti controproducente e scientificamente infondata. Tutto tranne che buon senso, insomma, e con lo spirito autolesionistico di cui solo noi siamo capaci.
L’export alimentare vola, non c’è area del mondo che non ambisca a mangiare italiano, mentre sui nostri canali televisivi e non solo si susseguono trasmissioni che trattano di cibo come se parlassero di cronaca nera, prendendo singoli episodi o comportamenti criminali e provando a far passare il messaggio che quelle “patologie” ristrette e sporadiche costituiscono invece lo standard delle nostre eccellenze. Offendendo e denigrando.
Vegetariani, vegani, animalisti, non passa giorno in cui le scelte individuali di alcuni finiscano per essere argomento di discussione nei salotti televisivi o sulla stampa, dove il tema viene trattato in maniera manichea, senza alcun contraddittorio, ma, cosa ancor più grave, consentendo a persone che non hanno alcun titolo professionale di esprimere giudizi tranchant su un alimento rispetto a un altro oppure sui presunti effetti nefasti degli allevamenti intensivi sull’ambiente e sul benessere degli animali, spesso senza averne mai visitato uno.
Quest’ultimo aspetto non va sottovalutato. Con la massiccia urbanizzazione il numero di questi maître à penser che possono affermare di aver visitato un allevamento confinato si contano sulle dita di una mano, mentre sono da prefisso telefonico se consideriamo coloro che hanno visto più di un allevamento (bovino, ovino, suino, pollame) e sono in grado di apprezzarne le condizioni, alla luce delle norme europee sul benessere degli animali.
In tv un’immagine distorta della nostra zootecnia
Senza scivolare nel complottismo, è indubbio che alcuni giornalisti utilizzino lo strumento televisivo per diffondere in maniera parziale le proprie convinzioni personali, per trasmettere un’immagine distorta della nostra zootecnia, dietro alla quale non ci sarebbe altro che sofferenza e violenza nei riguardi di animali costretti ad una non vita.
Sgombriamo subito il campo dagli equivoci. Il giornalismo d’inchiesta è sacrosanto ed è utilissimo per allontanare le mele marce dalle filiere, ma diventa disinformazione se l’inchiesta criminalizza un intero settore, in particolare se chi lo realizza ritiene che quel settore non dovrebbe esistere in quanto basato sullo sfruttamento di animali considerati destinatari degli stessi diritti degli esseri umani.
La filiera zootecnica ha senz’altro dei doveri nei riguardi degli animali che si traducono nelle 5 libertà del Brambell Report, che dal 1965 rappresentano una stella polare per gli allevatori che oggi sono impegnati a ridurre al massimo gli agenti biologici pericolosi, rafforzando i protocolli di biosicurezza per conseguentemente ridurre l’uso del farmaco veterinario e contribuire alla lotta all’antibiotico resistenza, come richiesto dall’Unione Europea in una visione One Health.
Ma l’informazione è altresì assicurata dalla presenza in tv di chef stellati, anch’essi dispensatori di consigli nutrizionali di giorno e giudici gastronomici inflessibili di notte, ma in questo caso i toni si avvicinano all’avanspettacolo, senza che vi sia una reale volontà di educare il telespettatore.
Bambini colpiti da malnutrizione
Eppure il tema della corretta alimentazione è di capitale importanza, in particolare quando parliamo di decisioni politiche sulle mense scolastiche e di alimentazione dei bambini. I numerosi fatti di cronaca che vedono come protagonisti, loro malgrado, dei bambini sottratti alla potestà genitoriale perché affetti da ritardi intellettivi e da gravi forme di malnutrizione perché i genitori, che hanno scelto uno stile di vita vegano e che hanno ritenuto che a un bimbo di pochi mesi potessero essere sottratte le proteine nobili della carne dalla dieta, è esemplificativo di come si debba avere molta cautela nel comunicare al grande pubblico.
I prodotti di origine animale, che hanno contribuito a rendere l’uomo un essere intelligente, sono insostituibili in età pediatrica, per le persone debilitate da pesanti terapie farmacologiche, per il mantenimento della muscolatura degli anziani e per gli sportivi.
Certo, alcune persone possono farne a meno, ma in generale coloro che escludono completamente le proteine di origine animale devono essere seguite da un nutrizionista, perché altrettanto indiscutibilmente vanno incontro a delle carenze gravi a partire dall’assenza di vitamina B12, del ferro eme e di altri nutrienti che sono presenti nella carne e nei prodotti di origine animale.
Essere vegani è una scelta individuale che rispettiamo, ma rimane innaturale rispetto alla natura onnivora dell’essere umano che a partire dall’intestino e dalla dentatura è la dimostrazione vivente di essere fatto per mangiare anche la carne e non a passare 8 ore della giornata a masticare come fa lo scimpanzé che pure raramente si nutre di carne.
L’inganno dei cibi vegan che scimmiottano la carne
Accanto alla confusione generale si aggiungono quelle aziende che producono prodotti vegan scimmiottando i prodotti a base di carne. Ormai non vi è supermercato che non abbia dedicato uno spazio ad arrosti, polpette, salumi tutti rigorosamente vegan.
Ma siamo certi che non sia ingannevole nei riguardi del consumatore utilizzare quegli stessi termini che per consuetudine identificano la carne?
Due importanti protagonisti del Parlamento europeo come Paolo De Castro e Giovanni La Via lo hanno chiesto alla Commissione europea. Quest’ultima già in estate era intervenuta sul tema a una precisa richiesta di un’altra deputata influente come Renate Sommer, alla quale è stato risposto …omissis… “le informazioni sugli alimenti non devono indurre in errore per quanto riguarda le caratteristiche dell’alimento e, in particolare, la natura, l’identità, le proprietà e la composizione o suggerendo, tramite l’aspetto, la descrizione o le illustrazioni, la presenza di un particolare alimento o di un ingrediente, mentre di fatto un componente naturalmente presente o un ingrediente normalmente utilizzato in tale alimento è stato sostituito con un diverso componente o un diverso ingrediente” …omissis .
Indubbiamente la Commissione ritiene ingannevole questo genere di indicazioni in etichetta.
Situazione ancor più grave dal punto di vista nutrizionale
Ma al di là dell’aspetto legale della questione, il continuo richiamo ad alimenti di origine animale in prodotti che invece di “animale” non contengono nulla, ha un riflesso ben più grave.
Suggerisce al consumatore l’idea che stia consumando un prodotto “equivalente” alla carne in termini di caratteristiche e proprietà nutritive, insomma un perfetto sostituto di una bistecca o di un prodotto a base di carne. Ma in realtà non è così.
Senza nulla togliere alle qualità nutritive di tutti gli alimenti di origine vegetale, anche questi assolutamente necessari in qualsiasi dieta equilibrata, è innegabile che le carni, il latte, le uova contengano sostanze che ritroviamo solamente nei prodotti di origine animale.
Le gallette o gli steak vegetariani preconfezionati, comunemente venduti nei supermercati, generalmente a base di soia, grano o grano saraceno, avena, legumi, ideati per venire incontro alle esigenze di vegani e vegetariani, sono quasi completamente privi di alcuni minerali fondamentali, come il ferro e lo zinco, di cui invece le carni sono un’importante fonte.
Per concludere, noi produttori zootecnici chiediamo solo un’informazione corretta ed equilibrata. Nient’altro.
Siamo pronti a fare la nostra parte per migliorare ulteriormente i nostri standard di benessere degli animali lungo tutta la nostra filiera e a contribuire ad allontanare dal nostro sistema produttivo quei pochi che non rispettano le regole, ma crediamo di meritare rispetto perché contribuiamo con 30 miliardi di fatturato e 180mila addetti occupati alla crescita economica del nostro Paese.
L’articolo è pubblicato su Informatore Zootecnico n. 3/2017
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