Allevatori principali indiziati delle emissioni in atmosfera che provocano inquinamento e cambiamenti climatici? Niente affatto. L’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, torna sul tema. È stata pubblicata proprio nei giorni scorsi, infatti, un’importante indagine, da cui emerge chiaramente che non sono gli allevamenti italiani il problema delle emissioni di gas, ma il traffico e la produzione industriale.
E, come se non bastasse, si aggiunge quanto ha svelato il Covid-19, che potremmo definire effetto Covid. L’inquinamento nell’ultimo anno, infatti, è indubbiamente calato, ma le nostre aziende non si sono fermate neppure un giorno e la produzione è rimasta invariata. Non possiamo certo decidere, infatti, quando una vacca deve produrre.
Una cosa è chiara: mentre le fabbriche e tutte le altre attività venivano chiuse, con relativo stop o calo di utilizzo per i mezzi di trasporto, gli allevamenti hanno continuato nel loro quotidiano lavoro.
Sono principi base per il sistema allevatori
E l’indagine Ispra smaschera dati importanti: l’agricoltura “pesa” sulle emissioni appena per il 7%, mentre l’industria per il 44,7% e i trasporti per il 24,5%.
Va considerato, inoltre, il nostro costante impegno sul versante della sostenibilità degli allevamenti, sotto diversi profili, compreso quello ambientale. Un’attenzione tipica italiana, in particolare grazie allo straordinario lavoro in atto da parte dell’Associazione italiana allevatori e delle “consociate” regionali, tra cui Arav.
Per questo continuare a puntare il dito contro gli allevatori non ha alcun senso, perché ciascuno di noi è quotidianamente impegnato nella direzione della tutela ambientale in un binario parallelo indivisibile con quella del benessere animale. Principi imprescindibili per chi vuole far parte del Sistema Allevatori e intende lavorare con coscienza ed attenzione rivolte alla produzione di qualità ed al contempo alla redditività aziendale.
Ammoniaca -25,5% dal 1990 al 2019
Il report dell’Ispra illustra una situazione che scagiona senza ombra di dubbio il settore agricolo, che, rispetto al 1990, ha diminuito le proprie emissioni del 30%, per effetto di una riduzione delle emissioni da bestiame di circa il 40% e delle emissioni da colture di circa il 19%, a causa di un calo della superficie a seminativo nello stesso periodo.
Dando uno sguardo alla produzione di ammoniaca, invece, il periodo 1990-2019 mostra un calo del 25,5%, dovuto alla riduzione del numero di animali, nonché alla diffusione di migliori pratiche ambientali nella gestione del letame.
Questi dati ci sollevano il morale. Scagionano settemila stalle venete da una responsabilità pesante e ingiusta. Settemila allevatori e famiglie che ogni giorno producono cibo e, nonostante questo impegno, devono pure giustificarsi da attacchi non sempre così equilibrati e fondati su dati oggettivi.
Senza contare che il nostro comparto, quello zootecnico, alimenta economie circolari con la produzione di letame e liquami indispensabili per fertilizzare i terreni, ma anche di energie rinnovabili come il biogas e sempre di più il biometano.
Il riscaldamento domestico
Di fronte a questa “polaroid” credo siano opportune alcune ulteriori considerazioni. Non si può che concordare su quanto emerge dall’indagine Ispra, per cui i settori della produzione di energia e dei trasporti restano responsabili di circa la metà delle emissioni nazionali di gas climalteranti. Il riscaldamento domestico rappresenta un’altra nota dolente. Usiamo troppo metano da per riscaldare le nostre case.
Ispra rivela, infatti, che sono 17,5 milioni le abitazioni che usano questo combustibile. Il settore residenziale da solo è responsabile del 64% della quantità di polveri sottili Pm2,5 , del 53% di Pm10 e del 60% di monossido di carbonio (CO) emessi nel 2018, contribuendo al peggioramento della qualità dell’aria specie nelle grandi città del Centro-Nord.
Il riscaldamento, sulla base dei dati Ispra elaborati da Elemens per Legambiente e Kyoto Club, pesa sulle emissioni di CO2 per oltre il 17,7%.
Una scomoda verità
La questione su cui maggiormente ci interroghiamo, però, è l’ostruzionismo che viene fatto rispetto all’uso del letame e dei liquami per la fertilizzazione dei terreni, che determina ulteriori riduzioni dell’impatto ambientale visto che tale utilizzo già ora in molte aziende sostituisce completamente quello di concimi chimici di derivazione industriale: urea in primis!!!
Stiamo parlando di un prodotto assolutamente biologico e naturale che paradossalmente viene messo sullo scranno degli imputati alla pari di fabbriche, automobili e caldaie.
La sensazione che ho è che sia necessario continuare a lavorare sull’informazione e formare dei cittadini capaci di discernere sulla base di dati oggettivi, al di là dei condizionamenti di “categoria”. Non abbiamo bisogno di convincere nessuno, vogliamo semplicemente non essere ingiustamente colpevolizzati per un lavoro che facciamo affrontando difficoltà e sfide spesso complesse: l’indagine Ispra ha squarciato il velo del tempio, una scomoda verità per qualcuno, finalmente il ritorno alla realtà per gli allevatori.