Passione, presenza diretta in azienda, disponibilità di terreni, innovazione tecnologica e legame stretto della produzione con il territorio. Sono queste le chiavi della redditività nella zootecnia pugliese, gli strumenti di cui si deve dotare l’allevatore affinché la sua azienda diventi capace di generare reddito rispetto ai costi sostenuti, secondo Piero Laterza, allevatore di bovine da latte di Noci (Ba) e presidente dell’Ara Puglia, e Giulio Federici, direttore generale dell’Ara Puglia.
Sono questi, nello stesso tempo, i percorsi su cui si dipanerà il convegno “Reddito dalla zootecnia, si può fare” che Edagricole terrà ad Agrilevante presso la Nuova Fiera del Levante di Bari (venerdì 10 ottobre, Centro congressi, sala 8, ore 9.30).
Pochi allevamenti, più capi e prezzi in aumento

“Per un imprenditore serio qualsiasi attività, se non è remunerativa, non dura a lungo; se da essa non riceve le giuste soddisfazioni la chiude e ne intraprende un’altra: così è anche per gli allevatori – introduce Laterza –. La zootecnia pugliese, nel solco di quella italiana, ha vissuto negli ultimi dieci anni una profonda riorganizzazione interna, con la perdita di almeno il 50% delle aziende, e, tuttavia, il mantenimento quasi stabile del numero di capi allevati. Anzi sulle Murge baresi e tarantine le aziende bovine sopravvissute hanno concentrato un numero di capi allevati maggiore del 5-10%, aumentando notevolmente la consistenza media aziendale. Questa ristrutturazione trova le sue radici in cause economiche e demografiche: da un lato la mancanza di redditività ha costretto molte aziende zootecniche a chiudere l’attività e spinto i titolari ad andare in pensione vendendo i capi bovini, ovicaprini, ecc. ad altri allevatori, quindi senza cedere l’allevamento ai figli, che hanno preferito cercare canali lavorativi più remunerativi; dall’altro la riduzione del numero di figli nelle famiglie di allevatori, passati dai 4-6 di mezzo secolo fa agli attuali 1-2, ha letteralmente costretto alla chiusura anche aziende ben messe, nelle quali, però, i pochi figli presenti non hanno voluto continuare il lavoro dei genitori”.
Il ricambio generazionale, seppur limitato, e con esso lo sviluppo delle aziende zootecniche condotte da giovani allevatori sono stati favoriti, spiega il presidente dell’Ara Puglia, dalla ripresa, dopo la fine dell’epidemia da Covid-19, dei mercati del latte e della carne. “È una ripresa, che ci auguriamo duratura, dovuta alla carenza di queste materie prime, per la chiusura in Germania, Francia, Olanda e altrove di numerose aziende zootecniche impossibilitate a rispettare i nuovi vincoli ambientali imposti dalla normativa europea ed è caratterizzata dall’aumento dei prezzi all’allevatore: il latte bovino prima veniva pagato 0,36-0,40 €/l più qualità e Iva (10%), adesso circa 0,60 €/l più qualità e Iva (10%); il prezzo della carne ha subito un incremento del 50%, passando da 3,00 a 4,50 €/peso vivo”.
Allevatore per passione
Nelle aziende zootecniche superstiti, condotte soprattutto da giovani, osserva Laterza, la ricerca di una redditività ottimale e durevole nel tempo passa innanzitutto attraverso un fattore soggettivo, necessario ancorché non sufficiente: la passione per il mestiere di allevatore.

“Solo giovani realmente appassionati possono decidere di spendere la propria vita in un’azienda zootecnica, perché questa attività vincola notte e dì e per tutti i giorni dell’anno, senza guardare in faccia festività di qualsiasi tipo. La passione è l’indispensabile punto di partenza per rendere l’azienda redditizia. Ma da sola non basta per andare avanti.
Infatti i giovani allevatori vantano pressoché tutti una significativa base culturale, in quanto diplomati o laureati in discipline attinenti alla zootecnia, e intendono il lavoro dell’allevatore, più che un mestiere, come un’autentica professione".
"Perciò hanno investito in tecnologie innovative e in una gestione moderna, professionale e quanto più possibile informatizzata. Operano per strutturare l’azienda in modo che sia funzionale ed efficiente sotto gli aspetti gestionali, tecnologici ed economici. Puntano su un bestiame di alto valore genetico e su un elevato livello di benessere animale in azienda per garantire la longevità massima possibile a ogni capo allevato: un animale quanto più è longevo in stalla tanto più sarà produttivo e quindi redditizio, mentre una vacca che ha solo uno o due parti riesce a coprire a malapena il costo necessario per mantenerla. I giovani allevatori annoverano inoltre, a loro merito, una più attenta predisposizione alla gestione amministrativa e burocratica dell’azienda zootecnica che conducono. Infine, riconoscono l’importanza di essere seguiti dal sistema organizzato dell’Ara Puglia, essenziale per aumentare la longevità degli animali, ottimizzare gli interparti, migliorare la qualità del latte e così via”.
I pilastri per la redditività della zootecnia

La redditività di un’azienda zootecnica poggia, secondo Federici, su precisi pilastri. “Il primo è la disponibilità di terreno, indispensabile affinché l’allevatore possa produrre almeno parte degli alimenti a uso zootecnico necessari in azienda, visti gli elevati costi delle materie prime e dei mangimi. Per la bovinicoltura delle Murge baresi e tarantine, cuore della zootecnia pugliese, gli allevatori non riescono a garantire l’autosufficienza alimentare aziendale, poiché la morfologia aspra del territorio, caratterizzato dalla natura carsica del terreno, e il clima arido e siccitoso non consentono di coltivare altro se non erbai autunno-vernini misti di graminacee e leguminose, con rese in foraggio piuttosto basse, conseguendo solo parte degli approvvigionamenti necessari. Il secondo pilastro è la presenza in azienda dell’allevatore come imprenditore a titolo principale: l’azienda in cui il suo titolare lavora attivamente ha maggiori possibilità di sopravvivere e rimanere redditizia. Ma la strada per la redditività della zootecnia pugliese sta anche nella capacità di legare il prodotto al territorio e di valorizzarlo, cioè di vendere, con il latte trasformato, anche il territorio con la sua storia e le sue specificità, così tante e particolari che possono contribuire a produrre reddito anche i tipici e caratteristici muretti a secco, oggi patrimonio Unesco per la loro millenaria funzione di delimitazione dei confini tra i campi delle Murge”.

Alimentazione e sanità i maggiori costi
Gli allevatori pugliesi sostengono costi difficili da comprimere, che pesano tantissimo sulla formazione del reddito, sottolinea il direttore dell’Ara Puglia. “Il costo più rilevante è senza dubbio l’alimentazione. Il secondo è la salvaguardia della sanità degli animali: gli allevatori, oltre a rispettare le normative nazionali in campo sanitario e di benessere animale a cui sono assoggettati, sono molto attenti a evitare che i loro capi contraggano patologie, fra cui quelle più comunemente diffuse sono di natura mastitica e riguardano l’apparato mammario, affinché possano garantire un elevato livello produttivo, senza ricorrere a terapie basate su eccessivo ricorso a farmaci, in particolare antibiotici. Per evitare quest’ultimo intervento, nelle aziende bovine la rimonta è in crescita proprio per poter sostituire facilmente eventuali capi ammalati mantenendo intatta la capacità di stalla. A questo scopo il laboratorio analisi dell’Ara Puglia esegue diagnosi di gravidanza su latte già a partire da 28 giorni dalla fecondazione per diagnosticare in tempo utile le bovine da rifecondare, diminuendo l’interparto”.
Le aziende zootecniche associate all’Ara, contribuendo a finanziare i servizi che offre, ricevono non solo un importante aiuto per la selezione e il miglioramento genetico delle razze, ma anche un riscontro pressoché mensile sullo stato di salute di ogni capo in lattazione attraverso analisi su latte effettuate nel laboratorio dell’Ara Puglia con tecnologie all’infrarosso di ultima generazione a livello europeo.
“Grazie a un sistema di gestione accreditato e a competenza tecnica, l’allevatore usufruisce di risultati analitici che delineano l’andamento del profilo chimico del latte delle singole bovine con parametri di importanza per la definizione della razione alimentare quali acidi grassi di origine metabolica, urea, proteine, bhb, acetone, senza trascurare il controllo del tenore in cellule somatiche come indicatore della salute della mammella e di buone pratiche di igiene di mungitura. Di più recente acquisizione è la strumentazione NIRs per una quantificazione analitica immediata del profilo chimico degli alimenti a uso animale”.
Filiera locale per proteggere i formaggi dop
L’impegno degli allevatori e le specificità del territorio pugliese devono essere valorizzati, per Federici, chiudendo la filiera nel territorio stesso.
“Non conta tanto che la filiera sia corta e quindi circoscritta alla singola azienda zootecnica trasformatrice del proprio latte, quanto che il prodotto ottenuto dalla trasformazione del latte venga valorizzato per la ricchezza di specifici fattori territoriali e umani e che il valore conseguito rimanga sul territorio stesso, a vantaggio degli allevatori e dei trasformatori. A livello nazionale abbiamo il riscontro di produzioni casearie di alto pregio premiate proprio dalla valorizzazione del loro legame con il territorio di produzione e trasformazione del latte. La Puglia invece accusa un forte ritardo nella crescita della Mozzarella di Gioia del Colle Dop, un formaggio fresco a pasta filata ottenuto da solo latte intero crudo di vacca e caratterizzato da una tecnologia di produzione basata sull’impiego di siero-innesto autoctono: sarebbe opportuno valorizzarlo legandolo al territorio di produzione, ma oggi i trasformatori trovano più conveniente produrre burrata anonima piuttosto che mozzarella Dop, perché la prima è più richiesta della seconda. Perciò ritengo opportuna l’estensione della Dop alla burrata oppure una Dop specifica per la burrata, per valorizzare comunque il legame con il territorio”.
I formaggi a pasta filata prodotti sulle Murge, dal caciocavallo alla burrata, alla mozzarella, non sono uguali a prodotti simili di produzione industriale, perché il latte da cui derivano trasferisce aspetti positivi e distintivi in fase di trasformazione, conclude Federici. “Queste specificità vanno collegate insieme in filiera tra allevatori e trasformatori, valorizzandole e allo stesso tempo proteggendole, affinché domani non sia possibile imitare e produrre altrove prodotti analoghi. Mantenere, tutelare e valorizzare le differenze consente non solo di garantire ai consumatori prodotti Dop di cui vengono sottoposti a controllo sia la materia prima sia il processo di trasformazione, ma anche di assicurare maggiore protezione di tali prodotti a vantaggio degli allevatori e dei trasformatori”.
Il contributo dei finanziamenti pubblici agli investimenti
La strada per ottenere redditività in zootecnia è più agevole da percorrere se gli investimenti vengono sostenuti da finanziamenti pubblici, sottolinea Laterza. “La Regione Puglia ha varato specifiche misure sul benessere animale attraverso il Complemento per lo sviluppo rurale (Csr Puglia) 2023-2027, che è lo strumento per la programmazione e gli interventi di sviluppo rurale nell’ambito del Piano strategico nazionale Pac 2023-2027.
In particolare, la Regione ha avviato un piano di eradicazione aziendale per le infezioni da Staphylococcus aureus e da S. agalactiae negli allevamenti bovini e bufalini, indispensabile per prevenire dannose e pericolose mastiti che hanno deleteri effetti sulla quantità e sulla qualità del latte prodotto. Inoltre ha varato un intervento specifico per il raffrescamento degli ambienti in cui vivono bovini, bufalini e ovicaprini per aiutarli a superare lo stress da caldo dei mesi estivi, che, ugualmente, si riverbera negativamente sugli esiti produttivi dei capi da latte”.