Creare allevamenti più moderni favorendo l’adozione di nuove tecnologie per praticare una zootecnia di precisione, che aiuti a migliorare la produzione di latte, a ridurre l’impatto ambientale delle stalle e ad aumentare il benessere animale. E poi aggregazione dell’offerta, consolidamento dell’operatività dei consorzi di tutela, supporto alla capitalizzazione delle imprese attraverso strumenti finanziari mirati e valorizzazione del marchio “Italia” sui mercati esteri. Senza dimenticare una vera e propria task force comunicativa per sfatare il mito che vuole la zootecnia nemica dell’ambiente e l’impegno per una lotta senza quartiere a chi mette in discussione la tradizione agroalimentare italiana: carne sintetica in primis. Ma per centrare tutti questi obiettivi il settore lattiero-caseario italiano ha bisogno di misure strutturali e di un sistema Paese che aiutino le aziende agricole, quelle della trasformazione e la grande distribuzione a far fronte all’impennata dei costi di produzione su cui pesa il rincaro dell’energia, oltre a preservare il potere d’acquisto dei consumatori, eroso dall’inflazione.
Questo il messaggio lanciato dai più importanti attori del lattiero-caseario riuniti a Bologna per la quarta edizione del Dairy Summit, l’evento organizzato dal Gruppo editoriale Tecniche Nuove per mettere a confronto tutte le anime della filiera lattiero-casearia del nostro Paese: dalle aziende agricole che producono le materie prime per l’alimentazione delle bovine, alle stalle, alle industrie di trasformazione, fino alla grande distribuzione, passando per i consorzi di tutela delle grandi denominazioni d’origine. Un grido d’allarme lanciato in coro, nonostante il prezzo del latte spot alla stalla, che sfiora i 70 centesimi di euro al litro, non sia mai stato così alto.
1. Sostegni a famiglie e imprese
«Non c’è più un secondo da perdere per dare sostegni alle imprese e alle famiglie che devono affrontare questa emergenza – ha rimarcato l’assessore all’Agricoltura della Regione Emilia-Romagna Alessio Mammi - la zootecnia è un settore produttivo molto importante per la nostra regione e per tutta l’Italia, che crea posti di lavoro e contribuisce allo sviluppo. Ma è anche un grande patrimonio sociale, ambientale e culturale».
«Spesso viene accusata di non essere sostenibile dal punto di vista ambientale – ha aggiunto – invece è semmai vero il contrario. Ci sono dati scientifici inconfutabili che dimostrano il valore anche ambientale della zootecnia, pensiamo al contrasto al dissesto idrogeologico e alla produzione di fertilizzanti naturali di cui c’è bisogno in molte filiere produttive oltre a favorire l’economia circolare: ma abbiamo una grande difficoltà a comunicarlo, difatti la zootecnia è spesso oggetto di attacchi ideologici e ingiustificati. Credo servirebbe una Ocm latte – ha concluso Mammi – per rafforzare la capacità di mercato delle nostre imprese e dare un supporto concreto a tutta la filiera».
«Abbiamo approntato un piano da otto miliardi per sostenere famiglie e imprese in questo periodo difficile – ha detto il responsabile sviluppo territoriale di UniCredit Stefano Gallo – nello specifico per il settore lattiero-caseario, che ci interessa molto, stiamo valutando misure specifiche, bisogna fare sistema anche attraverso la consulenza per consentire alle imprese di crescere anche intercettando i fondi del Pnrr».
2. Francia e Germania corrono più di noi
Ersilia Di Tullio, senior project manager di Nomisma, ha presentato lo studio “Rating delle filiere agroalimentari italiane: il posizionamento del lattiero-caseario secondo l’AGRI4indexTM di Nomisma-UniCredit”. L’indagine ha messo in luce un significativo differenziale di competitività dell’Italia rispetto a Francia e Germania, in parte compensato dai risultati dei circuiti delle nostre produzioni casearie di qualità, tra cui ben 52 Dop. Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto riescono a raggiungere performance uguali se non superiori a quelle dei principali concorrenti europei, ma nel resto d’Italia il comparto fatica a tenere il passo. In base al rating attribuitole dall’indice la filiera “latte e formaggi” è comunque seconda, dietro solo a quella del vino. Il rating dell’Italia è 56, mentre quello dei due principali produttori europei Germania e Francia, oltre che top-exporter mondiali, è rispettivamente 66 e 61.
Le ragioni di questo differenziale sono in gran parte riconducibili alle maggiori dimensioni economiche delle filiere dei due partner Ue, che insieme rappresentano il 37% del valore della produzione del latte e il 47% del fatturato della trasformazione lattiero-casearia dell’Unione, contro rispettivamente il 9% e il 13% dell’Italia.
A questo si accompagna un tessuto produttivo più avanzato. In termini di dimensioni medie, le imprese del dairy tedesche e francesi hanno un fatturato medio di 45,2 e 32,5 milioni di euro, contro gli appena 6,5 milioni di euro del nostro Paese.
Questo determina importanti riflessi sulla performance d’impresa, dato che i nostri competitor possono contare su economie di scala che consentono loro di essere più competitivi, anche se l’offerta – soprattutto nel caso della Germania – si focalizza su prodotti a minor valore aggiunto rispetto all’Italia e la Francia.
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Nel 2021 l’export italiano ha raggiunto i 3,6 miliardi di euro, in crescita del 48% rispetto al 2016. Ha superato la Francia (3,2 mld/€), che ha subito una battuta d’arresto, incrementando il valore di appena l’8% nello stesso periodo, mentre la Germania consolida la sua leadership (4,6 miliardi di euro e +38%). Ma Berlino e Parigi possono contare su una più ricca offerta di altri prodotti (latte, siero, prodotti freschi, latte in polvere, ecc.), che gli consente di staccare l’Italia in termini di market share dell’export di prodotti dairy mondiale: seconda la Germania, quarta la Francia, solo sesta l’Italia.
In prospettiva, tuttavia, con la prosecuzione del processo di ammodernamento della filiera, l’Italia potrebbe recuperare parte del gap registrato dall’Agri4index. Ci sono infatti aree del Paese in cui il rating raggiunge e supera quello dei nostri competitor. Si tratta dei bacini vocati del Nord Italia, specializzati nella produzione vaccina e nelle grandi produzioni Dop (Grana Padano e Parmigiano Reggiano, Gorgonzola, Asiago, ecc.), con in testa la Lombardia (rating 82), seguita da Emilia-Romagna (72) e Veneto (65). Qualche difficoltà si segnala ad esempio, in Trentino-Alto Adige (56) che ha una produzione realizzata prevalentemente in montagna, ma anche in Campania (56) e Sardegna (52).
3. Ok, il prezzo è ingiusto?
Nel corso della mattinata gli analisti del Clal guidati dal fondatore Angelo Rossi hanno presentato dettagliate analisi sull’andamento dei costi di produzione e dei prezzi del latte in Italia e nel mondo. L’incremento coinvolge tutta la filiera, dalle materie prime per la razione delle bovine all’energia elettrica, dal gasolio ai materiali per il packaging. A sostenere i fatturati delle aziende lattiero-casearie è soprattutto l’export, anche se i consumi di latte e formaggi sono in leggero calo.
Il Clal prevede che le quotazioni delle materie prime necessarie a comporre le razioni delle bovine da latte resteranno alti, soprattutto per le scarse produzioni dell’ultimo anno a causa della siccità. Una dinamica simile per mais e soia, di cui l’Italia è fortemente deficitaria. Difatti produciamo poco meno del 30% della soia e il 55% del mais impiegato in zootecnia. Gli stock di soia negli Stati Uniti sono ai minimi storici.
«I rialzi delle materie prime sono iniziati a settembre 2020. Negli ultimi mesi il prezzo del latte è cresciuto – ha sottolineato Ester Venturelli del Clal – ma con un certo ritardo rispetto al rincaro della razione. Ma anche il costo dei fieni è aumentato, per via della minor produzione dovuta alla siccità».
La società fondata da Angelo Rossi stima in circa 3-4 centesimi di euro per litro di latte prodotto il maggior costo della razione rispetto a settembre 2020. A questi si aggiungono 2,16 cent/l di maggiori costi per l’elettricità (+154% nel 2022 rispetto al 2021) e 0,68 cent/l di caro gasolio (+52% rispetto al 2021).
L’aumento dei costi di produzione sta facendo rallentare le consegne di latte, che in Italia ha seguito una dinamica diversa rispetto ai principali produttori europei. Mentre in Francia, Olanda e Germania la produzione ha iniziato a scendere da metà 2020 in coincidenza con il momento più difficile della pandemia da coronavirus, in Italia è cresciuta anche per tutto il 2021 e solo ora dà segni di rallentamento. Una altro dato significativo a tal proposito è quello sulle vacche macellate lungo la penisola aggiornato al 7 ottobre: 598.000 capi, il massimo degli ultimi dieci anni.
In questi mercati complessi e in questa fase di emergenza qual è il giusto prezzo del latte? Quello del latte spot o quello del latte contrattato? «Credo che i prezzi dell’energia nei prossimi mesi metteranno in seria difficoltà sia le imprese agricole sia quelle industriali che trasformano il latte – ha avvertito Angelo Rossi – quindi è più corretto seguire le quotazioni del latte spot o sedersi attorno a un tavolo e ogni tre mesi valutare il mercato e le variazioni dei costi nella catena di approvvigionamento? Secondo me è preferibile la seconda ipotesi. Ci sono aziende in grandissima sofferenza che rischiano di chiudere».
4. Mercati, Italia in controtendenza
Per quanto riguarda il mercato dei prodotti lattiero-caseari, a livello mondiale la produzione di latte è in calo a causa dell’aumento dei costi di produzione, ma anche la domanda sta rallentando. Indicatore molto significativo sono gli acquisti della Cina.
«Nel periodo gennaio - luglio 2022 c’è stata una diminuzione del 3,3% rispetto allo stesso periodo del 2021 – ha illustrato Aberto Lancellotti del Clal – in gran parte dovuto al calo della domanda cinese ascrivibile a tre fattori principali: una gestione della pandemia che prevede ancora misure molto restrittive con lockdown localizzati, i massicci acquisti del 2021 e un aumento della produzione interna».
Contemporaneamente sta rallentando l’export europeo: -5,4% tra gennaio e luglio 2022. A soffrire di più è la polvere di latte SMP (-18,1%), e il latte condensato (-16%). Le spedizioni di formaggi arretrano del 2,2%, in controtendenza il burro con un export in crescita del 3,2%. In crescita anche i prezzi. Viaggia invece con il vento in poppa l’export di formaggi italiani (+14,1% nel periodo gennaio-luglio 2022), che prosegue l’andamento positivo del 2021 (+10,1%).
Alessandro Poli di Iri, ha presentato un'analisi sull’andamento dei consumi di latticini e formaggi in Italia e una focalizzata sui formaggi Dop. In generale i volumi sono in leggero calo, ma le Dop vanno in controtendenza. Gli acquisti dei prodotti caseari a denominazione sono trainati dal canale discount.
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5. Gli allevatori: progettare oltre l'emergenza
«Non bisogna essere rassegnati in questo periodo, ma rilanciare, tant’è che abbiamo chiesto la creazione di un ministero della sovranità agroalimentare che dia uguale dignità a tutti gli attori della filiera. Oggi dovremmo ragionare di interventi strutturali – ha fatto notare il presidente della Coldiretti Ettore Prandini – servono misure tempestive, Germania, Spagna e Francia per esempio le hanno adottate mentre l’Italia sta aspettando le decisioni comunitarie. Le nostre imprese e le nostre cooperative non sono mai accompagnate da un sistema Paese, mentre all’estero questo aiuto c’è. Basta guardare quando si fanno acquisizioni di aziende, il nostro governo dovrebbe impedirle, soprattutto da qui in avanti considerando che la crisi ha reso molte imprese più fragili. E poi bisogna iniziare una battaglia di trasparenza e verità sull’impatto ambientale della filiera zootecnica e più in generale del settore agricolo, che vada a smontare un percepito dell’opinione pubblica che è devastante».
Non si può sempre intervenire sulle emergenze ha ragionato Prandini, servono interventi strutturali, serve progettazione di medio-lungo periodo, ad esempio per contrastare la siccità che ha effetti sulla produzione di materie prime per l’alimentazione delle bovine.
E ancora, il presidente di Coldiretti ha lanciato l’allarme contro i cibi sintetici: «Un rischio che non dobbiamo sottovalutare, le multinazionali del cibo stanno facendo grossi investimenti per creare alimenti “Frankenstein” e allo stesso tempo strumentalizzare le nostre attività agroalimentari, figlie di tradizioni secolari. La sfida futura è non far calare i prezzi che hanno raggiunto i prodotti lattiero-caseari anche quando sarà passata questa emergenza – ha concluso Prandini – solo così riusciremo a garantire il giusto valore agli allevatori».
Ma è possibile creare un’alleanza di filiera con accordi solidi tra allevatori e industriali per tutelare il reddito delle imprese agricole? «Assolutamente sì – ha assicurato il vicepresidente di Confagricoltura Matteo Lasagna – pochi mesi fa Lactalis e Granarolo con un comunicato congiunto hanno cercato di dare la sveglia al governo mettendo in luce i problemi del settore chiedendo un vero raccordo tra produttori, industria di trasformazione e grande distribuzione. Spesso ci siamo trovati solo noi parte agricola a chiedere un riparto più equo del valore lungo la filiera. In un momento come questo con il rincaro dei costi rinnoviamo la nostra richiesta di una maggiore solidarietà all’interno del sistema».
Quanto alle proposte per il futuro, Lasagna ha segnalato l’esigenza di un piano proteico per l’agricoltura italiana. «Al di là delle mode del momento che portano a dedicare ettari alla quinoa – ha lamentato – l’Italia ha bisogno di tornare a coltivare mais e di farlo in maniera moderna, aumentando le rese per ettaro magari sfruttando le nuove tecniche di ibridazione».
«Nessun accordo politico governa il mercato – ha scandito il vicepresidente nazionale di Cia agricoltori italiani Gianmichele Passarini – un aspetto che va approfondito, perché soprattutto dal lato della produzione abbiamo una reazione molto più lenta rispetto alle dinamiche di mercato. L’azienda agricola subisce in tempo reale l’aumento dei costi e beneficia in maniera molto più lenta l’adeguamento dei prezzi. Questo significa che gli allevatori fanno sostanzialmente da banca per la filiera».
«Siamo di fronte a uno scenario economico che sta mettendo a dura prova tutta la filiera – ha spiegato il coordinatore del settore lattiero-caseario di Alleanza delle cooperative Giovanni Guarneri – il sistema bancario va coinvolto perché abbiamo bisogno di affidamenti agevolati. Poi di certo serve un maggiore coordinamento tra le cooperative. Un esempio concreto di qualcosa che è stato fatto è l’aver trovato destinazioni alternative al latte. Una cosa da fare è lavorare sull’export».
6. Assolatte: resistere alla tentazione di abbassare la qualità
«Secondo me c’è sempre stato un buon rapporto tra industria e allevatori – ha evidenziato il vicepresidente di Assolatte Antonio Auricchio – in questi ultimi anni abbiamo assistito a un “ratto delle bovine” con stalle, magari piccole, che sono scomparse. Queste vanno tutelate perché oltre alle grandi Dop ci sono anche le piccole produzioni di eccellenza che sono comunque ambasciatrici del made in Italy agroalimentare nel mondo».
Auricchio ha poi lanciato due allerte: vero che in questi mesi l’export ha tenuto in piedi il settore, ma ci sono segnali di rallentamento, perché continuando ad aumentare i prezzi qualche consumatore potrebbe smettere di acquistare. La seconda è strettamente legata alla prima: guai a diminuire la qualità. «Con l’aumento dei costi ho sentito qualche industriale tentato di fare un prodotto più commodity – ha raccontato il presidente di Afidop – sarebbe un enorme errore, soprattutto per l’estero dove dobbiamo combattere l’italian sounding».
7. L'industria: fondamentale ridurre il peso dei costi energetici
Come sta reagendo l’industria del latte all’emergenza? Quali sono le sue proposte per il futuro a breve e medio termine? Queste le sollecitazioni della direttrice di Mark Up e GDOWeek Cristina Lazzati ai presidenti del Gruppo Granarolo Gianpiero Calzolari, di Inalpi Ambrogio Invernizzi e all’amministratore delegato di Lactalis Italia Giovanni Pomella.
Calzolari ha evidenziato che «il confronto ha bisogno di tutta la filiera» e ha suggerito di «affrontare a livello europeo il tema dell’energia, dal momento che questo rischia di mettere a dura prova non solo l’ordinario, ma la capacità di qualsiasi azienda di fare previsioni. Non sarebbe disdicevole – ha proseguito – che nell’immediato tutta l’industria alimentare possa acquisire il rango di energivora. Nel medio periodo, poi, dovremmo fare un ragionamento sul sistema Paese, per quanto riguarda l’approvvigionamento di materie prime per l’alimentazione animale».
Pomella, introducendo anche alcune opportunità che possono aprirsi, ha rilevato: «Di recente tutti si sono focalizzati sul costo del latte a 2 euro il litro. Ma il vero punto su cui riflettere è che per anni il latte è stato venduto tra 0,49 e 0,55 euro il litro, praticamente lo stesso prezzo dell’acqua minerale. Questa situazione di crisi ci sta quindi aiutando a riposizionare i prodotti lattiero-caseari all’interno di una filiera di valore. Poi, è vero che il contesto, dal punto di vista energetico e dei mangimi, non ci permette di essere sereni sul 2023, e su questo occorre fare interventi a breve per mantenere competitività. Sono anche da evitare ulteriori tasse che potrebbero avere impatti pesanti, come ad esempio la sugar tax.
«Questa attenzione mediatica ci ha consentito di aprire un dialogo con il consumatore come mai era avvenuto prima – ha aggiunto Calzolari –. Ora lo dobbiamo preservarlo e spiegare che mettiamo a disposizione delle famiglie un contenuto energetico inimmaginabile, che dietro ha un grande lavoro, con know-how e competenze».
Invernizzi ha infine aggiunto: «Alle istituzioni chiediamo di stabilizzare le quotazioni dell’energia, perché la variabilità crea notevoli problemi. Le difficoltà che abbiamo oggi come sistema Italia, le ha anche l’Europa. Credo quindi che la filiera italiana del latte abbia un futuro; deve solo organizzarsi meglio e lavorare unita. Per quanto ci riguarda, in Inalpi stiamo investendo molto sull’innovazione e sul lancio di nuovi prodotti, perché pensiamo che questa strategia possa creare valore».
8. I consorzi di tutela: noi in vantaggio, ma il futuro è un'incognita
“Indicazioni geografiche: un modello oltre la crisi?” il titolo della tavola rotonda condotta dal direttore di Edagricole Eugenio Occhialini. Sono intervenuti Stefano Berni, direttore del Consorzio Grana Padano, Carlo Mangini, direttore marketing e sviluppo commerciale del Consorzio Parmigiano Reggiano, Pier Maria Saccani, direttore del Consorzio Mozzarella di Bufala Dop.
Ragionando su modelli di sviluppo per superare situazioni contingenti come quella attuale, Berni ha rilevato: «Fare previsioni è difficilissimo, anche se un prodotto a indicazione geografica ha qualche elemento di difesa in più. Quello che possiamo fare in questo momento è continuare a implementare l’export, visto che negli ultimi anni abbiamo registrato incrementi strepitosi all’estero (45% di quota per 2,4 milioni di forme esportate), e sfruttare la cosiddetta indolenza del consumatore, che non vuole perdere tempo. Basti pensare che il Grana Padano grattugiato è la terza Dop per volumi, dopo Grana Padano e Parmigiano Reggiano».
Mangini ha aggiunto: «Il Parmigiano Reggiano che si fa oggi, in questa particolare congiuntura, arriverà sul mercato tra 24 mesi. Tale elemento ci potrà offrire buone opportunità, al di là della resilienza che può avere il comparto. Poi occorre chiedersi: qual è il prezzo giusto? Il valore che attribuisce il consumatore. Quindi se, come sta avvenendo, i consumatori continuerà a premiarci, significa che continuerà a credere nel nostro prodotto. Il Consorzio deve tutelare la qualità e sostenere la domanda. Occorre anche pensare di aumentare l’export nei Paesi che valorizzano già il nostro prodotto. Penso ad esempio agli Usa, dove il Parmigiano Reggiano è venduto a 40 €/kg: occorre sostenere questa domanda».
«Abbiamo grandi prodotti e abbiamo sempre cercato di esportare il made in Italy in senso ampio – ha sottolineato Saccani –. Tuttavia, finora, non abbiamo forse contaminato le cucine estere con i nostri ingredienti. All’estero, infatti, siamo spesso ancora percepiti come il ristorante etnico. Si potrebbe cercare di adattare i nostri prodotti alle abitudini locali, per aumentare modalità e tempi di consumo. Pensiamo ai “macaroni cheese” americani fatti con pasta di Gragnano e poi Grana o Parmigiano. Ma attenzione – ha avvertito – a non diminuire la qualità del prodotto che è il nostro valore aggiunto sul mercato».
9. Il mondo cambia e noi?
Chiusura dei lavori affidata all’europarlamentare Paolo De Castro. Dopo aver ricordato che l’8 novembre il Parlamento europeo presenterà la proposta di riforma del sistema delle Ig con novità importanti per il settore, da un lato ha rassicurato la filiera lattiero-casearia sulla volontà dell’Unione europea di arrivare a un tetto sul prezzo del gas, dall’altro ha invitato tutto il settore agroalimentare a tenere alta la guardia nei confronti di chi vuole colpire la zootecnia e demonizzare le nostre eccellenze agroalimentari, ad esempio imponendo etichettature fuorvianti.
«Non si può paragonare la zootecnia alle grandi industrie siderurgiche – ha scandito De Castro riferendosi alla Direttiva Ue sulle emissioni industriali – però dobbiamo tenere conto anche della sensibilità dell’opinione pubblica, sempre più influente. Ci sono state e ci sono ancora molte proteste legate al clima e la Commissione non può non tenerne conto. Quello che possiamo e dobbiamo fare – ha rimarcato De Castro – è far capire che l’agricoltura e l’agroalimentare sono i protagonisti della transizione ecologica. Dobbiamo essere noi a chiedere come centrare i grandi obiettivi ambientali fissati dall’Unione europea, ma dobbiamo anche essere consapevoli del fatto che il mondo è cambiato: ambiente, salute, benessere degli animali, sono temi impossibili da ignorare».
Per l’ex ministro dell’Agricoltura questa consapevolezza non significa accettare passivamente la demonizzazione dell’agricoltura. Bisogna reagire con la competenza, con le verità scientifiche per difendere il ruolo del settore primario. Ma per farlo serve un gioco di squadra. «Alcuni burocrati europei non vogliono che il consumatore scelga cosa acquistare – ha concluso De Castro – è importante reagire a questa deriva promuovendo le qualità della dieta mediterranea e delle nostre eccellenze agroalimentari. Serve un lavoro corale». Serve una filiera coesa, appunto.
10. I punti salienti nella Carta del latte
Come da tradizione i punti salienti dei lavori del Dairy summit saranno raccolti nella “Carta del latte” che sarà consegnata al ministro dell’Agricoltura e alle più importanti istituzioni. Ecco una bozza:
- adottare misure efficaci contro il rincaro dei costi energetici per le aziende;
- aumentare la competitività dei nostri distretti lattiero-caseari sostenendo le aggregazioni tra allevatori e aziende di trasformazione;
- attenzione alla qualità dei prodotti lattiero-caseari: non deve calare, è il biglietto da visita del settore
- progettare e realizzare infrastrutture per contrastare la siccità;
- sostenere il prezzo dei prodotti lattiero-caseari anche dopo la fiammata inflazionistica per creare valore da distribuire lungo tutta la filiera;
- comunicare contro le fake news che demonizzano l’agricoltura in generale e la zootecnia in particolare;
- creazione di una Ocm latte simile a quelle già esistenti per vino e ortofrutta, per consentire al settore di fare investimenti anche per la promozione dei prodotti.