Il 2019 è stato indubbiamente un anno positivo per il comparto lattiero caseario lombardo. Numeri sopra la media e remunerativi per le stalle, sia che la destinazione fosse il latte alimentare o il latte spot sia che la materia prima abbia trovato la strada della valorizzazione attraverso le grandi Dop casearie della Lombardia, la regione che con volumi di oro bianco consegnato pari a 4.862.436 tonnellate (dato gennaio-novembre 2019, fonte Clal.it) rappresenta ormai il 44% del totale nazionale.
Ciò significa che si sta verificando un fenomeno di concentrazione della produzione e una specializzazione delle stalle, tanto che la produzione media per capo in Lombardia aumenta, spinta dalle produzioni del “triangolo d’oro”, che ha nelle province di Brescia, Cremona e Mantova i propri vertici.
La flessione degli ultimi mesi
Anche Grana Padano e Parmigiano Reggiano hanno vissuto complessivamente un’annata positiva, per quanto l’ultima parte del 2019 abbia segnato una flessione dei listini, dettata sicuramente da un insieme di fattori (fra questi, i prezzi allo scaffale accresciuti, che hanno spinto alcuni consumatori a orientarsi verso altre tipologie di prodotto, ma anche il boom di export verso gli Stati Uniti fra giugno e agosto, che hanno poi conseguentemente rallentato i flussi nelle settimane successive, intasando un po’ il mercato).
Tuttavia, esaminando le elaborazioni di Clal.it, le quotazioni medie dello scorso anno per il Parmigiano Reggiano “24 mesi e oltre” sono state più elevate del 14,39% rispetto al 2018.
Bisognerà monitorare con attenzione la flessione degli ultimi mesi, per capire se si tratta di una caduta estemporanea, se si tratta di un picco depressivo prima della ripresa o se si tratta di una stabilizzazione su nuovi valori.
Analogo discorso, mutatis mutandis, può essere esteso al Grana Padano, il cui segmento di stagionatura a 10 mesi in Borsa merci a Mantova ha segnato un prezzo medio più elevato del 23,38% nel 2019 rispetto al trend del 2018.
Mangiare italiano ha un valore aggiunto
Nel 2020 si aprono scenari nuovi, per certi versi inediti. Lo abbiamo vissuto, restando nell’alveo delle grandi produzioni zootecniche lombarde, con le carni suine. C’è stata una fase del mercato in cui sembrava ormai quasi certo che la rotta delle grandi catene del commercio volessero abbandonare il Made in Italy, preferendo i tagli esteri, forti anche di una omologazione dell’informazione che non giocava certo a vantaggio del consumatore e dei produttori di casa nostra.
Poi, fortunatamente si è capito che mangiare italiano aveva un valore aggiunto, una garanzia di qualità, di salubrità, di controlli e di disciplinari produttivi più controllati, unitamente a un livello di benessere animale più elevato rispetto al resto dell’Europa (e del mondo).
Questa tendenza si è diffusa anche nel segmento lattiero caseario, non soltanto nelle grandi Dop. Anzi, oggi tale orientamento si sta rafforzando e, accanto all’origine, i consumatori pretendono la garanzia anche della reputazione. I prodotti devono essere il più possibile sostenibili, verdi, attenti all’ambiente. Meglio ancora se biologici o a residuo zero (nell’ortofrutta).
Siamo di fronte a un solco così profondo che ora a dettare la linea del gradimento di un prodotto è più il “green feeling” che non la qualità organolettica del prodotto, che si dà ormai per scontata, così come il consumatore sta puntando con sempre maggiore determinazione a richiedere la carta d’identità del prodotto, a partire dall’origine delle materie prime.
Una grande soddisfazione, ci sia consentito dirlo, per noi di Coldiretti, che su tematiche come l’etichettatura, la difesa del Made in Italy, la tracciabilità abbiamo per primi lanciato grandi campagne.
Green New Deal
Rimanere sul mercato oggi è sempre più difficile. Lo dimostra il disorientamento manifestato persino dai grandi marchi globali, quelli che solitamente hanno gioco facile a imporre la propria visione. Per questo credo che il mondo allevatoriale sia chiamato a una profonda riflessione, per pianificare un percorso produttivo sostenibile, chiaro, dove il benessere animale, la lotta all’antibiotico-resistenza, l’uso consapevole del farmaco, la sostenibilità ambientale e l’economia circolare devono accompagnare verso una competitività globale dell’impresa agricola e delle filiere.
Un Green New Deal di sostanza, più che di immagine. Quello che ha spinto ad esempio una realtà strutturata come il Consorzio Latterie Virgilio, del quale mi onoro di essere presidente, a dotarsi del primo camion alimentato a Gnl per il trasporto del latte, caso unico in Italia e in Europa.
Di fronte al Coronavirus
Che cosa aspettarsi nel 2020? Domanda difficile, alla luce di avvenimenti improvvisi, imprevedibili e ad oggi di non immediata soluzione. Non vorrei sembrare banale, ma se la Cina negli ultimi anni è stata uno dei poli commerciali in grado di imprimere la direzione dei prezzi di alcuni mercati (si pensi alle carni suine, in seguito all’emergenza della peste suina africana e dell’import massiccio di Pechino), nei prossimi mesi lo sarà ancora di più.
Non possiamo prevedere gli esiti dell’emergenza del Coronavirus. Quali impatti avrà sul Prodotto interno lordo della locomotiva asiatica? Si bloccheranno le importazioni di carne suina? O di latte, polveri e derivati?
Se dovesse verificarsi una concomitanza di tali fattori, sarebbe la “tempesta perfetta”, in grado di mettere in ginocchio tutta Europa (e non solo). Mi verrebbe da dire “non pensiamoci”. Ma sarebbe più corretto esortare a individuare a livello comunitario soluzioni strategiche per intervenire rapidamente.
Noi produttori di latte abbiamo tutti vivo il ricordo della crisi innescata dalla fine del regime delle quote latte, per parecchi mesi negata dalla Commissione europea. Non ripetiamo simili errori. Speriamo nulla accada, ma non facciamoci cogliere di sorpresa.