Il collegamento stretto e coordinato fra produzione agricola e zootecnica, determinato da esigenze della trasformazione e da richieste di mercato, ha costruito nel tempo la maggior parte delle filiere agro-alimentari.
“Filiera” è un termine sicuramente abusato, che sembra ormai abbondantemente superato, ma che in realtà ha permesso di costruire un modello organizzato nella produzione alimentare nazionale.
In molti casi le caratteristiche introdotte nelle diverse fasi operative (produzione, trasformazione, commercializzazione), sono state codificate ed introdotte in regole di produzione che hanno da un lato reso riproducibili le condizioni richieste e dall’altro costruito un’identificazione precisa del prodotto.
In molti casi sono così diventate caratteristiche fondamentali per la costruzione di disciplinari di produzione; molti dei quali stanno alla base di molte Dop e sono regole produttive di tante eccellenze alimentari nazionali.
L’effetto spesso combinato con l’identificazione di zone produttive delimitate, ha recuperato identità storica, riconoscibilità, difesa da tentativi emulativi di prodotti simili o magari surrogabili come caratteristiche organolettiche ma non come identità.
In questo lavoro, velleitario per operatori separati e scollegati fra produzione e trasformazione, l’associazionismo cooperativo ha avuto un ruolo importante. Sia perché spesso aveva in sé diverse parti della filiera, ma soprattutto per le capacità costitutive di costruire relazione, collegamento e condivisione di obiettivi. La presenza cooperativa di indubbia rilevanza in gran parte di queste filiere ne è del resto evidente conferma.
Oggi si aprono nuovi spazi per arricchire le relazioni esistenti e aggiungerne di nuove.
La richiesta pressante, della politica e dei consumatori, di introdurre caratteristiche nuove di natura sanitaria, ambientale e di rispetto di animali e piante, apre nuove possibilità che vanno promosse nel mondo agroalimentare per evitare di doverle subire.
Gli operatori del settore (di produzione, commercializzazione o industria) se non saranno promotori di modelli rispondenti alla richiesta ma dotati di sostenibilità economica, rischiano che quest’ultima fondamentale sostenibilità sia posta in secondo piano.
Del resto le recenti valutazioni, che è difficile non definire avventate o frettolose, di qualche Ministro del nuovo Governo, hanno messo in luce posizione che come si vede non sono relegate solo al mondo dell’ambientalismo a tutti i costi.
Nell’introduzione di garanzie sui metodi di produzione e trasformazione, nella possibilità di garantire assenze di prodotti considerati nocivi o di tecniche rispettose di animali, piante ed operatori di base, stanno gran parte delle esigenze di mercato dei prossimi anni.
Ancora una volta non saranno i singoli operatori a poterlo fare, ma occorre collegamento, massa critica sufficiente a soddisfare i mercati o almeno a raggiungere visibilità, ricerca, sviluppo, sperimentazione, investimenti e capacità di comunicazione.
Per il mondo associativo agricolo, per la cooperazione agro-industriale, così come per industria e distribuzione, si aprono ampi spazi di lavoro e di collaborazione.
In questo modo sarà forse possibile che il Farm to Fork si traduca in nuova sostenibilità economiche per le produzioni agro-zootecniche nazionali.•