La filiera lattiero casearia italiana rappresenta un sistema composto da 20mila stalle bovine da latte che garantisce una produzione di 12,9 milioni di tonnellate all’anno, alimentando una catena produttiva del valore di oltre 16 miliardi di euro, con oltre 200mila persone fra occupati diretti e indotto.
Nell’ultimo decennio il livello nazionale di autoapprovvigionamento di latte è nettamente aumentato, passando dal 73% circa del 2014 all’89% del 2023. È questo il risultato dell’impegno, dei sacrifici e degli investimenti in innovazione portati avanti dagli allevatori italiani, ma anche delle battaglie di Coldiretti per la valorizzazione delle produzioni, togliendole dall’anonimato grazie all’introduzione dell’obbligo dell’etichettatura d’origine su tutti i prodotti lattiero caseari.
Una battaglia di trasparenza nell’interesse delle aziende agricole e dei consumatori, che è stata sposata anche dalla parte più intelligente e patriottica dell’industria agroalimentare, brava a comprendere come la scritta Made in Italy non sia un semplice riferimento geografico ma la garanzia di qualità, sostenibilità e sicurezza alimentare assicurata dall’agricoltura più green d’Europa.
Senza dimenticare il ruolo fondamentale svolto dagli allevamenti nella tutela dell’ambiente e del territorio. Le stalle si trovano spesso in territori montani e svantaggiati e la loro presenza rappresenta un baluardo al rischio di abbandono, assicurando una costante manutenzione che è il miglior antidoto ai rischi legati al dissesto idrogeologico, sempre più aggravato dagli effetti dei cambiamenti climatici.
Un giusto reddito
La filiera lattiero casearia rappresenta dunque un grande patrimonio del Paese, che va difeso e tutelato, a partire dalla garanzia di un giusto reddito agli allevatori che passa necessariamente dal riconoscimento di un prezzo remunerativo.
Circa la metà del latte italiano viene utilizzato per la produzione dei grandi formaggi Dop e qui le quotazioni riconosciute ai produttori di latte quest’anno sono positive, grazie anche ai buoni risultati ottenuti sul fronte dell’internazionalizzazione, con l’aumento delle esportazioni. Nel 2023 le vendite complessive di formaggi italiani all’estero sono cresciute del 12%, con la Francia che si è confermata primo mercato di sbocco davanti a Stati Uniti e Germania.
Risultati talmente positivi che a mio avviso dovrebbero portare a un ritocco al rialzo dei prezzi pagati ai nostri produttori.
Prezzo 51, costo 51
Se, invece, guardiamo alle quotazioni riconosciute agli allevatori che conferiscono il proprio prodotto alle industrie alimentari per la produzione di latte, formaggi e prodotti lattiero caseari per così dire “generici”, queste viaggiano poco sopra i 51 centesimi per un litro di latte.
Basta fare un’analisi dei costi necessari per produrlo per accorgersi che i conti non tornano. Secondo il monitoraggio di Ismea su un cluster di aziende zootecniche di pianura con 100-250 bovine produttrici di latte per prodotti generici, il costo medio è di circa 51 centesimi per litro di latte, tra alimentazione, medicinali e servizi veterinari, prodotti energetici, acqua, spese varie, manodopera familiare, manodopera salariata, ammortamenti e interessi.
In pratica le aziende arrivano a coprire appena le spese e, quando va bene, vanno in pareggio.
È facile comprendere come si tratti di una situazione inaccettabile, che minaccia la sopravvivenza delle nostre stalle. La copertura dei costi è un prerequisito di ogni attività d’impresa, ma non può certo essere indicata come il risultato massimo a cui si possa aspirare.
La mancanza di un reddito soddisfacente si traduce peraltro nell’impossibilità di effettuare investimenti e di continuare nel percorso di valorizzazione della qualità del nostro latte che è alla base dei grandi risultati ottenuti in questi anni all’estero e non solo dai formaggi Made in Italy.
Contro le pratiche sleali
È anche per questo che Coldiretti si è battuta in tutte le sedi, nazionali ed europee, contro le pratiche sleali, arrivando anche a denunciare, unica tra tutte le associazioni, una grande multinazionale come Lactalis. La vicenda è ormai nota ma vale ricordarla, poiché ha segnato uno spartiacque rispetto a una situazione che sino ad oggi aveva visto la parte allevatoriale subire le decisioni unilaterali dell’industria senza denunciarle per paura di ritorsioni.
Lactalis è tra l’altro un vero e proprio “gigante” del settore dopo aver acquisito i marchi nazionali Parmalat, Locatelli, Invernizzi, Galbani, Cadermartori e Nuova Castelli, che hanno permesso di controllare circa un terzo del mercato nazionale.
Coldiretti ha denunciato la multinazionale perché aveva modificato unilateralmente gli accordi e non aveva pagato il prezzo pattuito agli allevatori. E, dopo 5 mesi, l’Ispettorato del Ministero ha sanzionato l’azienda francese dopo averne riscontrato la condotta sleale in centinaia di casi.
Ora serve un impegno dell’Unione europea per rafforzare le misure contro le pratiche sleali e tutelare i produttori agricoli.
Reciprocità
Ma all’Europa chiediamo anche l’affermazione del principio di reciprocità e la modifica del codice doganale di ultima trasformazione.
Nella grande mobilitazione del Brennero abbiamo visto sfilare anche cisterne di latte e formaggi stranieri dai nomi che richiamano l’italianità. È anche dallo stop a questi fenomeni che dipendono le possibilità dei nostri allevatori di veder riconosciuto un giusto prezzo.