Prezzo del latte, il vento è cambiato

prezzo del latte
Daniele Rama, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore, è direttore della Smea, Alta Scuola di management ed economia agro-alimentare, Cremona.
In gennaio il prezzo ha toccato il suo massimo con 60 centesimi per litro, per i cinque mesi successivi si prevede una riduzione del 4% circa

È fresca la notizia che il principale acquirente di latte italiano ha concluso con le organizzazioni agricole un accordo che fissa il prezzo pagato ai produttori di latte fino al prossimo giugno (con l’intesa di rivedersi ad aprile e valutare la situazione). In gennaio il prezzo ha toccato il suo massimo con 60 centesimi per litro, per i cinque mesi successivi si prevede una riduzione del 4% circa, cosicché la media del primo semestre 2023 sarebbe leggermente superiore (+1,5%) rispetto al secondo semestre 2022.
I segnali di un ritocco verso il basso del prezzo del latte in Europa già si vedevano: in gennaio colossi come Campina e Arla avevano ridotto la remunerazione dei loro soci rispettivamente di due centesimi e mezzo e di un centesimo per chilo. Ma ancora prima, il prezzo del latte spot, che a metà ottobre aveva toccato l’apice con 68 centesimi al litro (!), da quel punto ha iniziato una discesa graduale, accentuatasi poi tra dicembre e gennaio.
Andando ancora indietro nel tempo, il “Commodity Milk Price Equivalent”, cioè la misura di quanto viene valorizzato il latte dai prezzi di burro e latte scremato in polvere, era arrivato a sfiorare, in aprile, il tetto (anche in questo caso) di 68 centesimi, ma in novembre era già sceso a 52.
Le ragioni del cambiamento di vento stanno in parte nell’offerta, ma soprattutto nella domanda. Per la prima, è vero che gli alti prezzi della seconda metà dell’anno passato, uniti ad un rallentamento dei listini delle materie prime alimentari (che nel primo semestre avevano messo a durissima prova gli allevatori) hanno spinto i produttori di latte ad aumentare le quantità: in Germania si stima che in dicembre 2022 si sia prodotto il 2% in più di un anno prima, e da noi forse l’incremento è stato un po’ più consistente.
Ma è soprattutto la domanda internazionale che, tra la fine del 2021 e l’estate successiva, si è ritirata a fronte dei prezzi eccessivi delle commodity lattiere europee: non dimentichiamo che nei paesi “emergenti” i derivati del latte sono perlopiù prodotti di lusso. Era stata proprio la crescita di quei mercati, assieme alla ritrovata competitività delle produzioni europee, che ha consentito di arrivare a livelli di prezzo del latte in Europa difficilmente prevedibili.
Tra aprile 2021 e 2022 il prezzo del burro alla borsa bavarese di Kempten è passato da 4 euro per kg a quasi 7,20 euro; la polvere di latte scremata per uso alimentare, nello stesso periodo, da 2,40 a 4,10 euro; comprensibile che l’export abbia poi subito un netto ridimensionamento.

Cosa potrebbe succedere ora

E ora? Per farsi un’idea di quel che ci si può aspettare, si possono fare tre considerazioni.
Le commodity europee tornano ad essere competitive. Oggi il burro quota 4,20 euro, il latte scremato in polvere 2,50 euro. A supporto di una ripresa della domanda, i futures sul burro segnalano l’aspettativa di limitate ulteriori riduzioni fino a marzo, seguite da recuperi; per il latte in polvere il punto di minimo si colloca ad aprile.

Il prezzo del Grana Padano ha probabilmente raggiunto l’apice della sua fase ascendente e potrebbe, nei mesi a venire, lasciare qualcosa sul terreno, ma le scorte di formaggio stagionato sono ridotte (a differenza del Parmigiano Reggiano, malgrado da diversi mesi la produzione abbia frenato) e un crollo dei listini pare molto improbabile.
Già dalla seconda metà del 2022 la produzione di latte in Italia ha ripreso una certa tendenza all’aumento, ma non c’è da aspettarsi che accadano fenomeni, quali quelli osservati ad esempio tra metà 2017 e metà 2018, quando i produttori hanno spinto al massimo per riempire le stalle e le sale di mungitura: data la scarsità di foraggi e la loro qualità mediamente non eccelsa, in realtà diversi allevatori tendono a scartare le vacche meno produttive, per lavorare sulla parte migliore della mandria.
Lo scenario più verosimile, quindi, è quello di una certa riduzione del prezzo, che grossomodo potrebbe perdere nel giro di un semestre quanto aveva guadagnato nel precedente, confermando quindi la sostanziale correttezza delle analisi condivise alla base del recente accordo.
Parallelamente, si sta osservando un certo allentamento nel costo delle materie prime alimentari, in particolare le granaglie alla base dei concentrati (diverso, per quanto detto, il discorso sui foraggi), che dovrebbe garantire la possibilità, per le aziende ben gestite, di salvaguardare un equilibrio economico se non mirabolante, comunque accettabile.

Prezzo del latte, il vento è cambiato - Ultima modifica: 2023-02-13T15:12:07+01:00 da Lucia Berti

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