Le macchine agricole si sono profondamente trasformate negli ultimi decenni, sotto vari aspetti: potenza media, gestione del motore, trasmissione, postazione di guida. Ma è ancor più radicale il cambiamento avvenuto nel campo dell’elettronica, che era completamente assente mezzo secolo fa e oggi è un elemento portante per trattori e macchine da raccolta.
Tra i casi che possono rappresentare questa evoluzione vi sono senza dubbio le trinciacaricatrici: sia per l’aumento di potenza, costante e tutt’ora perdurante, sia per la dotazione tecnologica che troviamo su ogni esemplare, anche quelli di concezione più economica.
Nel settore delle trince, in effetti, non esiste la versione di base, ovvero una macchina semplice, essenzialmente meccanica e come tale venduta a un prezzo più abbordabile come accade, per esempio, per i trattori. I costruttori anzi fanno a gara per incrementare il corredo tecnologico delle loro macchine, anche anticipando le richieste del mercato.
Il quale, come vedremo più avanti, non sembra essere sempre pronto per determinate soluzioni, in particolare quelle legate all’agricoltura di precisione. Il progresso, tuttavia, va in questa direzione e non si vedono al momento segni di cambiamento, per cui è lecito attendersi che, per qualche anno almeno, vedremo ancora aumentare la sofisticatezza delle macchine, soprattutto per quanto riguarda l’automazione di determinate operazioni e la raccolta e gestione dei dati.
La complessità aiuta?
Un dubbio ricorrente, quando si è di fronte a un’impennata tecnologica di questa portata, è se essa sia effettivamente utile e quanto lo sia. E se non contribuisca invece a complicare le cose piuttosto che semplificarle.
Ce lo chiediamo per un banale smartphone (di cui l’utente medio utilizza sì e no il 20% delle potenzialità), val la pena chiederselo, a maggior ragione, per una macchina che costa centinaia di migliaia di euro. Decine di migliaia dei quali servono a pagare il contenuto elettronico della medesima, peraltro.
Se lo domandano senza dubbio i contoterzisti, che in Italia rappresentano la quasi totalità dei proprietari di trinciacaricatrici. E se lo chiedono, a cascata, anche gli allevatori, a cui viene proposto di pagare un surplus per ottenere servizi elettronici di cui non sempre o non immediatamente si comprende l’utilità.
In fondo le vacche mangiano trinciato, non stringhe di informazioni, e se una trincia produce un trinciato di qualità non è chiaro perché si dovrebbe pagare di più per sapere in che porzione di campo quel trinciato è stato raccolto o quanta acqua contenga il relativo insilato.
Per cercare di fare un po’ di chiarezza sull’argomento abbiamo chiesto la collaborazione di Carlo Bisaglia, responsabile di sede del Crea-It di Treviglio (Bg), il Centro di ricerca per l’ingegneria e le trasformazioni agroalimentari del Crea.
Applicazioni concrete
Cominciamo con una foto della situazione: abbiamo chiesto a Bisaglia cosa troviamo su una trinciacaricatrice di ultima generazione, se ci focalizziamo sull’elettronica.
«Troviamo molte cose e soprattutto molte che non si trovavano soltanto pochi decenni fa. Parallelamente all’incremento di potenza – tendenzialmente 10 kW l’anno dagli anni Sessanta a oggi – abbiamo assistito a un’evoluzione tecnologica molto forte, che ha profondamente modificato, per esempio, l’interfaccia con l’uomo. Se ci sediamo alla postazione di guida di una trincia moderna, sembra che non vi sia granché con cui interagire, invece abbiamo una vastità di funzioni, e tutte a portata di mano. Sono raggruppate in un terminale in cui troviamo, in alcuni casi, anche la curva caratteristica del motore, grazie alla quale, se lo desidera, l’operatore può mantenersi in una fascia di consumi relativamente contenuti senza penalizzare le prestazioni di raccolta».
Un’altra implementazione di questi ultimi anni, continua Bisaglia, è la telemetria, che trasmette avvisi e allerte quando si creano le condizioni per un possibile malfunzionamento della macchina o una prossima rottura di qualche sua parte o anche solo per la “semplice” gestione delle flotte aziendali. Finora, tuttavia, abbiamo esaminato l’elettronica delle trince dal punto di vista del proprietario, che come abbiamo scritto non è quasi mai l’allevatore. Ci sono tuttavia dispositivi che possono avere importanti ricadute anche sull’attività di quest’ultimo. «Sulle trinciacaricatrici – conferma il tecnico del Crea-It – è ormai molto diffuso il sistema di guida automatica satellitare, che in primo luogo evita sovrapposizioni tra le passate: soltanto pochi centimetri, che tuttavia a fine giornata si tradurrebbero in uno spreco di tempo e gasolio. In aggiunta, il controllo satellitare della posizione apre la strada a molte altre applicazioni, alcune delle quali hanno ripercussioni dirette anche sull’allevamento. In primo luogo, la geo-referenziazione delle produzioni per frazioni di singolo appezzamento».
Un risultato, continua il responsabile del Crea bergamasco, reso possibile dalla collocazione di sensori sui rulli di compressione e dal rilevamento satellitare della velocità. «Conoscendo la larghezza della barra e la velocità di avanzamento posso sapere quanta superficie è raccolta in un’unità di tempo, per esempio in un secondo. Un sistema di sensori posti sui rulli di compressione, inoltre, è in grado di stimare quanto prodotto passa attraverso essi, misurando la distanza tra i rulli, che ovviamente aumenta all’aumentare della quantità di prodotto inglobato. Il risultato di queste analisi è una mappa del campo suddivisa in tante micro-aree – potremmo dire dei pixel – ognuna delle quali è la superficie raccolta nell’unità di tempo. Per ogni “pixel” abbiamo una stima del prodotto raccolto grazie ai sensori sui rulli. Tutto ciò crea una mappa di produzione geo-referenziata».
La mappa geo-referenziata
Come abbiamo ormai imparato da innumerevoli fonti, quest’ultima è il primo passo per fare agricoltura di precisione, ovvero per una serie di valutazioni che ci possono portare a variare la dose di seme, la concimazione o anche i trattamenti in funzione della fertilità di una parcella di terreno. «In primo luogo – conferma Bisaglia – con una mappa di produzione posso differenziare la concimazione, ripristinando correttamente gli asporti dovuti alla coltivazione del prodotto. Non si farà più, quindi, una concimazione generalizzata, ma una fertilizzazione mirata in base alle reali necessità di ogni settore del campo».
Quello agronomico, sebbene sia forse il più conosciuto, è però soltanto uno degli impieghi della mappa di produzione. «Un altro è la correzione di eventuali errori di alimentazione, obiettivo per il quale, tuttavia, la mappa di produzione da sola non è sufficiente: occorre che il foraggio raccolto sia esaminato in tempo reale da un sistema come il Nir, che stima il contenuto qualitativo delle piante in termini di proteine, amido e umidità relativa, per esempio».
Lo scopo è, secondo Bisaglia, quello di modificare i dosaggi, per ridurre la variabilità dei carri unifeed. «Se conosco con buona approssimazione il contenuto di nutrienti dell’insilato che sto usando, posso correggere le quantità di prodotto nel carro per dare agli animali il nutrimento di cui necessitano, senza carenze ma anche senza eccedere. Il rischio delle prime è evidente: se non fornisco tutto il nutrimento necessario, la vacca farà meno latte. Anche un eccesso di alimentazione, tuttavia, è dannoso: innanzitutto perché rappresenta uno spreco e un costo inutile. In secondo luogo perché le proteine non utilizzate dagli animali finiscono nelle deiezioni e, secondo diversi studi, contribuiscono, tramite la dispersione di ammoniaca in atmosfera, ad aumentare inquinamento e anche presenza di particolato secondario nell’aria».
Dunque concimazione, alimentazione e ambiente. Tutto questo grazie a una mappa di produzione? «Esattamente. Partendo dalla geo-referenziazione siamo arrivati a utilizzare meglio il concime, limitare l’inquinamento e ridurre la variabilità dell’alimentazione. Perlomeno, quella dovuta all’uomo, perché esiste anche una variabilità di alimentazione naturale, causata dal fatto che i gruppi di animali non sono del tutto omogenei. Le vacche non mangiano tutte allo stesso modo e non hanno tutte le stesse esigenze.
Tuttavia – prosegue Bisaglia – se la variabilità nella mandria è inevitabile, l’errore umano nella preparazione dell’unifeed può essere azzerato o almeno ridotto. Si pensi, per esempio, al ruolo dell’umidità relativa, che può condizionare fortemente il contenuto di nutrienti di un carro, se non si effettuano le opportune correzioni. Dare acqua essendo convinti che si stanno fornendo alimenti è un grosso errore che si può evitare con l’agricoltura di precisione».
La gestione dei reflui
C’è un altro aspetto che, secondo il responsabile del Crea-It, può essere migliorato grazie alle mappe di produzione e, di conseguenza, grazie all’elettronica presente su una trinciacaricatrice: la gestione dei reflui. Un tema che con il passare degli anni è diventato fondamentale, soprattutto a causa della direttiva nitrati. «La quale – ricorda Carlo Bisaglia – è una normativa ambientale: corretta negli scopi, ma non finalizzata alla necessità agronomica di nutrire i terreni».
Armonizzare due esigenze in apparenza inconciliabili è tuttavia possibile. Ancora una volta, grazie alla tecnologia. E questa volta il Crea-It ha, in questa sfida, un ruolo di primo piano, grazie a una ricerca promossa dalla Regione Lombardia.
«Stiamo effettivamente lavorando a un progetto, denominato Mental, a cui partecipano alcune sedi lombarde del Crea e le due università di Milano, che riguarda la concimazione differenziata del mais da insilato. Siamo partiti da un dato di fatto: la Direttiva nitrati impone un limite di azoto riferito alla superficie media aziendale e per anno, ma nessuno vieta di uscire dai limiti in determinate aree di terreno in cui vi sia stato un asporto di azoto superiore alla media. Partendo dalle mappe di produzione abbiamo così concimato alcuni terreni in modo differenziato, utilizzando sia digestato sia concime minerale.
In sostanza, abbiamo dato un quantitativo di azoto superiore alla direttiva nitrati nelle frazioni di campo in cui vi era stata una produzione sopra la media, mentre dove la produzione era stata scarsa, abbiamo ridotto la concimazione. Abbiamo insomma cercato di ripristinare gli asporti di azoto dovuti alla coltivazione del mais, restando al tempo stesso nel limite di chilogrammi per ettaro/anno stabiliti dalla Direttiva. Questo nella consapevolezza che dove gli asporti sono maggiori, l’eccesso di azoto non finirà in falda, ma sarà con ogni probabilità prelevato dalla coltura».
Grazie ai dati raccolti dalla trinciacaricatrice, conclude il ricercatore, «è stato quindi possibile armonizzare due principi contrastanti: quello ambientale, rappresentato dalla Direttiva nitrati, e quello agronomico, che impone di ripristinare i livelli di azoto nel terreno».
Le trincee
Una seconda linea di ricerca aperta sempre presso il Crea-It di Treviglio grazie ai fondi regionali prevede invece l’utilizzo dei dati qualitativi per la realizzazione delle trincee. «Si tratta di un aspetto particolare del progetto Auto-feed, cui partecipa anche il Crpa, cinque aziende agricole, l’università di Milano e due consulenti per la gestione dei big-data e della divulgazione su social media. Un progetto legato all’automazione dei processi di alimentazione della mandria».
In questo caso «ci stiamo occupando anche di capire da dove si generi la variabilità presente nelle trincee, allo scopo di ridurre l’errore umano citato in precedenza a proposito della variabilità dei carri unifeed. L’assunto è che se fossimo in grado di formare trincee il più possibile uniformi per contenuto di nutrienti (amido, proteine, fibra, ecc.) il margine di errore si ridurrebbe fortemente. Fare una trincea più uniforme potrebbe però essere possibile, nel momento in cui utilizziamo una trinciacaricatrice dotata di un dispositivo di tipo Nir.
Suddividendo il trinciato in due o tre sili a seconda del tasso di nutrienti potremmo più facilmente correggere i quantitativi utilizzati nel momento in cui si va a caricare il carro, rispettando così la ricetta stabilita dal nutrizionista. Ancora una volta, l’elettronica montata sulla trinciacaricatrice ci può aiutare a risolvere un problema oggettivo in stalla».
Conoscenze da diffondere
Se l’utilità della tecnologia oggi presente sulle trince è così alta, e non vi è dubbio che lo sia, viene da chiedersi perché finora questi sistemi siano stati poco utilizzati, e soprattutto poco richiesti dagli allevatori.
Bisaglia risponde così: «Ritengo che sia un fatto legato soprattutto alla novità della materia. Gli allevatori non ne sono sempre informati e non sempre ne colgono il valore. D’altra parte, i costruttori, pur dotando le macchine di molteplici funzioni, non sempre le promuovono con la forza che meriterebbero, forse anche perché esse richiedono il contributo di personale preparato e adeguatamente formato, che non sempre gli stessi costruttori hanno a disposizione in numero sufficiente.
Il risultato è che non tutti i contoterzisti acquistano i sistemi di precisione, anche perché pochi allevatori, per il momento, richiedono i dati da essi forniti. Il processo avviene quindi più lentamente, ma ciò nonostante avviene e non ho dubbi che, in futuro, si andrà sempre più nella direzione di un uso consapevole e massiccio dei dati raccolti, trasformando la trinciacaricatrice da semplice attrezzo per la raccolta dei foraggi in produttrice e fornitrice di servizi tecnologici avanzati».l
Coltivare dove vale la pena