Gli allevamenti intensivi sono i più sostenibili

allevamenti sostenibili
Giuseppe Pulina, professore dell'Università degli studi di Sassari.
Dalla metà degli anni ’60 ad oggi, cioè passando dall’estensivo all’intensivo, le emissioni di metano e di ammoniaca si sono notevolmente ridotte

 

Gli allevamenti intensivi sono entrati nel mirino della pubblica opinione perché accusati di tutti i mali: alti impatti ambientali, maltrattamento degli animali, uso sconsiderato di farmaci, condizioni di lavoro impossibili per gli operatori. Tratterò in questo editoriale il tema della relazione fra intensità di allevamento e impatto ambientale.

Innanzitutto, cos’è un allevamento intensivo? È un’impresa zootecnica ad alta intensità di capitale per cui identificare intensivo con concentrato non è corretto.
Ad esempio, un allevamento plein air con applicate alte tecnologie che richiede per unità di prodotto elevati investimenti e bassi costi del lavoro, è un allevamento capital intensive in cui gli animali sono allevati in grandi spazi; viceversa, un allevamento familiare, con bovine alla catena ma con bassi investimenti e alta incidenza del lavoro sul prodotto finito, è capital extensive, anche se gli spazi per animale sono limitati.

Di norma, però, gli allevamenti intensivi concentrano grandi popolazioni di animali in spazi ridotti, per cui le tecniche di controllo degli effluenti di allevamento diventano parte essenziale del ciclo (e del costo) di produzione. Ma sotto il profilo degli impatti per unità di prodotto, questi allevamenti sono più razionali, sempre a patto che si pratichi una gestione oculata dei liquami e delle lettiere.

Pochi numeri chiariranno il concetto iniziando dal metano. Questo gas prodotto prevalentemente dalle fermentazioni ruminali ha un effetto serrigeno pari a 25 volte la CO2 (1 kg di metano = 25 kg di CO2equivalente) e rappresenta il maggior impatto ambientale degli allevamenti.


Nel caso dell’allevamento bovino da latte italiano, nel 1950 si producevano 546 mila tonnellate di latte con una emissione totale di metano pari a oltre 1 milione di tonnellate di CO2equivalente; dopo 60 anni la produzione di latte ha sforato 1 milione di tonnellate e le emissioni totali si sono dimezzate, per cui l’impatto per litro di latte si é ridotto a ¼, passando da quasi 2 kg per litro di CO2eq a circa mezzo kg.

Il motivo è semplice: nel 1950 allevavamo molte vacche che producevano poco, per cui il grosso delle emissioni (oltre 2/3) era legato al mantenimento in vita degli animali e della rimonta; oggi il rapporto si è invertito, per cui il metano emesso è proporzionale al latte prodotto e quello destinato al mantenimento di vacche e rimonta si è ridotto a circa 1/4 del totale.

Se consideriamo le emissioni per kg di proteina animale prodotta, i miei conti riportati nella figura 1 mostrano che dalla metà degli anni ’60 ad oggi le quantità di CH4 si sono più che dimezzate per effetto dell’intensivizzazione che ha riguardato tutta la zootecnica nazionale. Lo stesso argomento vale per le emissioni di azoto e per gli altri impatti (acidificazione, eutrofizzazione, ecc..). La figura 2, basata su un lavoro di Bava e colleghi, mostra l’entità della riduzione degli impatti dell’allevamento suino all’aumentare della produttività per scrofa presente.

Il processo di intensivizzazione della zootecnia italiana (e conseguentemente del miglioramento dell’efficienza) ha comportato anche una riduzione globale delle emissioni, come detto in precedenza per il settore bovino da latte. Una mia elaborazione sui dati Istat e di Esposito e Caderoni, riportata nel grafico della figura 3, mostra che all’aumentare della produzione totale di proteine animali osservata dalla metà degli anni ’60 ad oggi, cioè passando dall’estensivo all’intensivo, le emissioni di metano e quelle di ammoniaca (indicatore delle emissioni azotate complessive) si sono notevolmente ridotte.

Concludendo, l’intensivizzazione intensa nel senso di maggiori investimenti di capitale tecnologico negli allevamenti volti alla maggiore produttività e al trattamento di tutto il ciclo delle biomasse e degli effluenti, è l’unica via per la sostenibilità ambientale delle imprese zootecniche. Parlare di intensivizzazione sostenibile, quindi, significa solo apparentemente utilizzare un ossimoro.

(Editoriale uscito su IZ 14.2019)

 

Gli allevamenti intensivi sono i più sostenibili - Ultima modifica: 2019-07-31T14:42:07+02:00 da Lucia Berti

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