Da fuori Ue prodotti di origine animale ottenuti con pratiche qui non ammesse

ZOOTECNIA. Carne e latte, i paradossi dell’import

carne
Ginevra, fine 2009, seduta interministeriale Wto: la stessa organizzazione mondiale del commercio ammette che la globalizzazione dei mercati è andata avanti senza parallelamente armonizzare le norme sulla sicurezza alimentare. Nello stesso incontro il rappresentante Onu per l’alimentazione sollecita il Wto a rendere gli attuali accordi commerciali più coerenti con le politiche che i singoli Paesi stanno varando in materia di protezione della sanità degli alimenti.

Ginevra, fine 2009, seduta interministeriale Wto: la stessa organizzazione mondiale del commercio ammette che la globalizzazione dei mercati è andata avanti senza parallelamente armonizzare le norme sulla sicurezza alimentare. Nello stesso incontro il rappresentante Onu per l’alimentazione sollecita il Wto a rendere gli attuali accordi commerciali più coerenti con le politiche che i singoli Paesi stanno varando in materia di protezione della sanità degli alimenti.

A sua volta la Ue, nell’import, ha dovuto spesso accettare le norme sulla sicurezza alimentare dei paesi esportatori per non essere accusata di discriminazione e subire ritorsioni commerciali (come quelle subite nella famosa “guerra” con gli Usa per il mancato import nella Ue della carne proveniente da animali trattati con ormoni). Così recentemente, negli accordi con Cile Australia e Usa sul vino, la Ue ha dovuto prevedere la possibilità di importare prodotti ottenuti con pratiche non ammesse in Europa.

Il problema acquista particolare evidenza nella produzione di alimenti di origine animale. Da una parte infatti gli allevatori europei, e soprattutto italiani, devono adeguare i propri processi produttivi al pacchetto igiene, alle norme sulla sicurezza degli operatori, al rispetto del benessere animale e dell’ambiente.

Dall’altra vedono arrivare sui mercati interni carne bovina ottenuta con auxinici o conservata con lattobacilli o cloro; oppure prodotti lattiero caseari derivanti da allevamenti dove strutture produttive e procedure veterinarie sono al livello in cui erano in Italia quarant’anni fa.

CONCORRENZA SLEALE

Nella migliore delle ipotesi i produttori esteri che possono operare senza questi vincoli ottengono dalla situazione costi di produzione più bassi, quindi prezzi d’offerta slealmente più competitivi rispetto a quelli dei prodotti ottenuti con tutte le precauzioni.

Nella peggiore, la qualità scade in caratteristiche antitecnologiche o peggio in situazioni a rischio sicurezza alimentare.

Dice per esempio Roberto Arru, direttore dell’Associazione regionale produttori latte Piemonte: «Nessuno può mettere la mano sul fuoco sulla sicurezza alimentare del latte ottenuto nell’Europa dell’Est, dove la zootecnia è ancora arretrata. Questo vale anche per Paesi che ora stanno nella Ue, come Polonia o Romania. Non è infrequente che il latte proveniente da questi Paesi finisca per far registrare livelli elevati di carica batterica o di cellule somatiche».

DA SUDAMERICA E USA
Problemi anche nel caso della carne bovina importata dal Sudamerica. Eclatante il caso del monensin sodico, un farmaco antimicrobico che controlla le fermentazioni ruminali e che ha proprietà coccidiostatiche, dunque in grado di migliorare le performance produttive. E’ stato bandito nella Ue nel 2003 ma non nel resto del mondo. Per prevenire l’insorgenza di antibiotico-resistenze la Ue lo aveva escluso dagli allevamenti con il reg. 1831/2003, che vieta la somministrazione agli animali di prodotti auxinici. Ma i produttori di carne bovina di Brasile, Argentina, Uruguay, Stati Uniti hanno continuato a usarlo.

Situazione simile quella di alcuni metodi per conservare le carcasse, vietati nella Ue ma consentiti in Sudamerica e negli Usa, che esportano in Europa e in Italia grandi quantità di carne bovina. Tra questi metodi preclusi ai nostri produttori c’è l’irradiazione delle carcasse con raggi gamma, molto diffusa negli Stati uniti, oppure il loro trattamento con acque ricche di cloro (operazione vietata dalla direttiva 98/83/Cee), oppure l’uso di lattobacilli.

L’incredibile durata del sottovuoto delle carni argentine, fino a 120 giorni, è dovuta anche al fatto che nelle relative confezioni i produttori locali possono utilizzare i lattobacilli. I produttori europei invece non possono usare lattobacilli a causa dei vincoli del pacchetto igiene (quattro regolamenti Ue del 2004 entrati in vigore nel 2006), che dice che il prodotto agroalimentare fresco non può subire trattamenti, quindi il loro sottovuoto non riesce a superare i canonici 30-40 giorni.

ZOOTECNIA. Carne e latte, i paradossi dell’import - Ultima modifica: 2010-03-12T17:40:27+01:00 da IZ Informatore Zootecnico

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