Dalla Cattolica: con la granulometria farine

granulometria
Oggi è possibile misurare questo parametro direttamente in stalla. A dimostrarlo sono gli esperti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza che hanno sviluppato un sistema semplificato di quantificazione. In questo modo sarà possibile correggere il valore di degradazione oraria dell’amido al momento della formulazione della razione

L’amido è un polisaccaride con struttura semicristallina composto di α-glucani nella forma di amilosio e di amilopectina. Entrambi sono polimeri del glucosio che si differenziano per la struttura e il peso molecolare e che, in seguito al processo di fermentazione/digestione ruminale, costituiscono un’importante fonte di energia per gli animali.

La principale fonte amidacea somministrata alle bovine da latte è rappresentata da cereali da granella (soprattutto mais, ma anche sorgo, avena, orzo e altri cereali autunno-vernini), solitamente macinati in farine oppure trattati termicamente per aumentarne la digeribilità dell’amido prima del loro impiego in razione.

Molte aziende agricole fanno uso di cereali sfarinati, spesso macinati con molino aziendale. È noto infatti come la macinazione rappresenti un fattore fondamentale dal punto di vista nutrizionale in quanto, influenzando la granulometria delle farine e di conseguenza la distribuzione tra particelle grossolane e fini, è in grado di modulare la velocità di fermentazione dell’alimento nel rumine così come il passaggio verso l’intestino.

Somministrare farine macinate finemente permette di aumentare la superficie dei granuli di amido esposta all’azione della microflora ruminale e di conseguenza di aumentare l’attività fermentativa dei microorganismi ruminali. Una macinazione più fine contribuisce a massimizzare l’utilizzo dell’amido nel tratto gastrointestinale degli animali, l’attività dei batteri e protozoi, la quantità di proteina microbica e acidi grassi volatili prodotti a livello ruminale (Giuberti et al., 2014).

A prescindere dall’effetto della macinazione, e della conseguente granulometria delle farine, anche la struttura e le caratteristiche proprie dell’amido possano influenzare notevolmente le cinetiche di fermentazione. A titolo di esempio, a parità di granulometria, la fermentescibilità dell’amido è matrice-specifica, variando, anche in modo considerevole, in funzione della granella considerata (segale > avena > frumento > orzo = pisello > favino > mais >= sorgo, figura 1).

Altri fattori che influenzano la fermentazione dell’amido

Anche altri aspetti inoltre concorrono nel modulare la fermentazione dell’amido a livello ruminale, fra i quali la vistrosità delle granelle, il rapporto amilosio/amilopectina, la dimensione dei granuli di amido, la maturità fisiologica delle granelle alla raccolta, la matrice proteica che incapsula i granuli di amido, etc. (Giuberti et al., 2014).

Granulometria: ruolo fondamentale

Tornando alla granulometria, la distribuzione tra particelle fini e grossolane derivante dalla macinazione delle granelle rappresenta uno dei principali fattori in grado di spiegare i processi fermentativi che avvengono a livello ruminale sulle farine. In modo particolare le particelle grossolane, se non sono completamente degradate nel comparto ruminale, dopo un certo periodo di tempo possono sfuggire alle fermentazioni ruminali ma anche ai processi digestivi e fermentativi che avvengono nell’intestino e ritrovarsi nelle feci. Questo rappresenta una perdita economica per gli allevatori ma anche un possibile problema per l’attività del microbiota intestinale e l’integrità della parete intestinale.

Talvolta però definire il concetto di macinazione risulta alquanto ambiguo. Ci sono diversi fattori da considerare che influiscono sulla buona riuscita degli sfarinati, come ad esempio il tipo di molino impiegato, la dimensione della griglia, il suo stato di usura, la potenza del motore e il buon funzionamento dei martelli. Da questo deriva che non esiste una granulometria uniforme nelle farine aziendali, bensì un range di grandezza che va da farine macinate molto finemente (granulometria media al di sotto di 0.5 mm) a farine macinate in modo più grossolano (granulometria media oltre i 1.5-2.0 mm). Questo è quello che è emerso da un’indagine che l’Istituto di Scienze degli alimenti e della nutrizione dell’Università Cattolica di Piacenza ha svolto negli scorsi mesi in circa 70 aziende della Pianura Padana. Da questo la necessità di capire meglio come la granulometria delle farine possa giocare un ruolo nel minimizzare le perdite di amido con le feci e ottimizzare il sito (rumine o intestino) di fermentazione/digestione dell’amido delle diete così da evitare turbe digestive negli animali.

I modelli nutrizionali Ncr, Cncps, Inra e Norfor

Sebbene sia noto l’effetto della granulometria delle farine sulla disponibilità dei nutrienti nel tratto gastrointestinale delle lattifere, i modelli di razionamento dinamici americani, francesi e nord-europei propongono per lo più stime qualitative e poco accurate del grado di macinazione delle farine e, di conseguenza, della reale digeribilità ruminale dei nutrienti come l’amido.

In particolare, fra i modelli nutrizionali americani, l’Nrc (2001) considera la struttura fisica dell’alimento apportando, in funzione di questa, una correzione al valore energetico dell’alimento attraverso un parametro definito Paf (Processing adjustment factor). Quest’ultimo tiene conto di diversi fattori quali i trattamenti termici, l’epoca di raccolta nonché la granulometria media delle farine. Però, nel caso specifico della granulometria, i correttivi proposti dall’Nrc (2001) si limitano a prendere in considerazione tipologie molto diversificate di macinazione (mais spezzato grossolano o mais macinato) alle quali attribuiscono un Paf pari a 0.95 e 1.00, rispettivamente. In pratica, non viene riportata una correzione al valore energetico della farina in funzione della granulometria, in quanto si parla in modo generico di mais macinato e non del suo grado di macinazione.

Il Cncps (ver 6.1, 2015) classifica i carboidrati in diverse categorie e l’amido rappresenta la frazione B1. Nel caso degli sfarinati, alla frazione B1 vengono associate diverse velocità di degradazione oraria dell’amido (Kd, %/h) in funzione della granulometria, parametro importante per stimare correttamente in questo modello nutrizionale il valore energetico dell’alimento e la produzione di proteina microbica.

Ad ogni modo, il Cncps prevede una classificazione delle farine (es: farina di mais) che si limita a sole tre macro categorie non ben definite (farina macinata fine, media e grossolana) e attribuisce a ciascuna un opportuno valore di degradazione oraria (Kd) dell’amido pari a 30%/h, 25%/h e 20%/h rispettivamente. Discriminare fra una delle 3 macro categorie richiede una interpretazione soggettiva legata all’esperienza dei singoli.

L’Inra (Noziere and Sauvant, 2015) non prevede correzioni al valore energetico delle farine in funzione della granulometria, mentre il Norfor (2011) apporta correzioni in funzione della granulometria, ma esclusivamente per le farine di mais, differenziando fra mais laminato o mais macinato finemente. Anche in questo caso non viene introdotto un correttivo in funzione della granulometria media delle farine.

Dopo questa panoramica generale, si evidenzia come i principali sistemi di razionamento in realtà non prendano in considerazione l’effetto che la granulometria media delle farine ha sulle dinamiche di fermentazione ruminale dell’amido e sul valore energetico. Questi modelli propongo tuttalpiù correttivi qualitativi che inevitabilmente risultano poco oggettivi essendo soggetti a interpretazioni diverse.

Lo studio condotto dalla Cattolica di Piacenza

Partendo da questo presupposto, l’Istituto di Scienze degli alimenti e della nutrizione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza ha svolto delle prove con lo scopo di verificare l’effetto che la granulometria delle farine ha sulle dinamiche di fermentescibilità ruminale (gas production test) e di degradazione ruminale dell’amido (7h in vitro starch degradability test) nelle principali matrici impiegate nell’alimentazione di bovine da latte.

Le analisi, effettuate adottando metodi basati sull’impiego di liquido ruminale (gas production test e 7h in vitro starch degradability test), hanno messo in evidenza come all’aumentare di ogni mm di granulometria media delle farine, il valore di Kd dell’amido diminuisca in modo lineare e proporzionalmente al loro grado di macinazione in diverse matrici.

Questo ha consentito di proporre dei correttivi quantitativi al Kd dell’amido in funzione della granulometria, come riportato in tabella 1. Si è inoltre ver ificato come tali correttivi siano matrice-specifici. Infatti, nel caso del favino il correttivo proposto è -3%/h di capacità degradativa per ogni aumento di mm di granulometria della farina. Nel caso del sorgo e del frumento, invece, l’entità dei correttivi è circa 3 volte più alto e pari a -9/-10%/h di capacità degradativa per ogni aumento di mm di granulometria delle farine. Integrare questi dati nei programmi di razionamento dinamici potrebbe permettere di ottenere stime più accurate e attendibili dell’effettiva quantità di nutrienti disponibili a livello ruminale.

Modellizzare la granulometria delle farine

Al fine di utilizzare questi dati nella realtà di stalla, è stata messa a punto una procedura di facile applicabilità che permette di valutare il grado di macinazione delle farine che si stanno utilizzando in razione. Infatti, la metodica impiegata nelle prove di laboratorio per valutare la granulometria media delle farine (metodica ufficiale Asae, 2003) si è rilevata molto laboriosa e dispendiosa in termini di tempo, prevedendo l’uso di ben 8 setacci.

Per evitare l’uso di un così alto numero di setacci in azienda, si è sviluppato un modello semplificato in grado di fornire una misurazione accurata della granulometria delle farine. In particolare, si richiede l’uso di solo 2 setacci a maglie di 0.5 e 1.5 mm.

Tale modello è stato sviluppato per ripartire le particelle delle farine in tre categorie generali, cioè piccole (< 0.5 mm), medie (0.5-1.5 mm) e grossolane (> 1.5 mm). Ad ogni modo, nonostante la semplificazione ed il minor numero di setacci utilizzati per questa valutazione (da 8 a 2 setacci), la stima della granulometria media delle farine risulta accurata.

A titolo di esempio, nel box “Impiego del modello semplificato su due farine aziendali di mais” si riporta il caso dell’’impiego di questo strumento su due farine aziendali di mais che si differenziavano per il grado di macinazione (fine e grossolano, figura 2).

Perché è utile conoscere la granulometria

Conoscere la granulometria media delle farine permette di caratterizzare meglio gli alimenti che si stanno utilizzando in razione, migliorare le conoscenze riguardo le reali dinamiche di fermentazione ruminale dei nutrienti e di conseguenza avere stime più precise delle performance produttive degli animali. Lo sviluppo di un sistema semplificato di quantificazione della granulometria media delle farine permette di misurare questo parametro anche in stalla e, di conseguenza, di correggere il valore di degradazione oraria dell’amido al momento della formulazione della razione.

 

Questa attività di ricerca è stata supportata dal Servizio di sviluppo del sistema agroalimentare della Regione Emilia Romagna (legge regionale 11 agosto 1998 n. 28 “Promozione dei Servizi di sviluppo del sistema agro-alimentare”).

 

(*) Gli autori sono dell’Istituto di Scienze degli alimenti e della nutrizione, facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali, Università Cattolica del Sacro Cuore.

 

L’articolo completo di box, tabelle e grafici è pubblicato su Informatore Zootecnico n. 18/2016

L’edicola di Informatore Zootecnico

Dalla Cattolica: con la granulometria farine - Ultima modifica: 2016-11-03T11:00:24+01:00 da Barbara Gamberini

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