Il comparto deve riadattarsi alla diminuzione dei consumi e all’export in contrazione

Carne, è “solo” un assestamento

«Non è un problema di crisi. La carne bovina non se la passa peggio di altri settori. Anzi, proviamo a proporre un cambio con il comparto del latte o dei suini: vedrà quanti produttori sarebbero disposti a farlo». In sintesi estrema, è questa la valutazione di Daniele Rama dell’Università Cattolica di Piacenza e curatore dei volumi dell’Osservatorio Lattiero caseario e della carne bovina. (Terra e Vita)

«Non è un problema di crisi. La carne bovina non se la passa peggio di altri settori. Anzi, proviamo a proporre un cambio con il comparto del latte o dei suini: vedrà quanti produttori sarebbero disposti a farlo». In sintesi estrema, è questa la valutazione di Daniele Rama dell’Università Cattolica di Piacenza e curatore dei volumi dell’Osservatorio Lattiero caseario e della carne bovina.

«Il problema è a monte, con la diminuzione dei consumi di carne rossa – specifica Rama – che determina una certa stanchezza del mercato». Dunque, nonostante le comprensibili difficoltà dell’agricoltura, non si utilizzi la parola crisi: «Al massimo si può parlare di una crisi di assestamento del mercato».

Certo, se la carne bovina accusa meno la contrazione dei prezzi rispetto ai comparti del latte e dei suini, concorrono a determinare uno scenario non proprio roseo diversi fattori.

Innanzitutto, il patrimonio bovino su scala mondiale è diminuito. I dati, relativi al 2008 ed elaborati dall’Osservatorio di EurocarneVeronafiere sulla base di dati Eurostat, Usda, Fao, Istat e Ismea, indicano su scala mondiale una flessione leggera, in media dello 0,4%. Accanto a diminuzioni marcate, come ad esempio in Russia (18.400.000 capi al 1° dicembre 2008, -3,3% sul 2007) o Australia (28.100.000, -1,1%), alcune aree del pianeta hanno accresciuto il numero di animali allevati. Così ad esempio l’Ue (91 milioni, +0,4% sul 2007), la Cina (+1,2%, 105.900.000 capi) e il Brasile (+0,9%, per un totale di 175.400 capi).

PATRIMONIO BOVINO IN CALO
In Italia il patrimonio zootecnico dei bovini da carne è diminuito, invece, dell’1,4% (quasi 91mila capi in meno sul 2007). Conseguenza immediata, la perdita dell’1,1% della quantità di carne prodotta, scesa a 978.600 tonnellate.

Rallentano gli scambi commerciali a livello mondiale. Un’incognita, questa, destinata a pesare in maniera non indifferente. Così sostiene Rama. «Brasile e Argentina restano dei punti di domanda in quanto bacini di approvvigionamento per l’Ue e per l’Italia». Certamente, le contrazioni sull’export di Argentina (-25,1%) e Brasile (-12,1%) fanno parte proprio di quella «crisi di assestamento del mercato».

«A determinare queste flessioni sull’export intervengono fattori diversi. E cioè aspetti sanitari per il Brasile e riflessi invece di politica economica per l’Argentina, che ha optato a livello di barriere di contenere i flussi verso l’estero di carne».

Ma è tutto un insieme di fattori, non da ultimo il calo dei consumi di carne bovina – che nel 2008 in Italia ha fatto segnare un -1,8%, per effetto principalmente di un aumento dei prezzi al banco – a rendere il mercato fiacco. Pur senza bisogno delle statistiche, che tira aria di contrazione se n’è accorto Matteo Biancardi, che conduce insieme al padre Antonio uno dei più importanti allevamenti a livello europeo iscritti a Libro genealogico, a Maccastorna (Lodi). «Nel negozio che abbiamo alla Tenuta Boscone – osserva Matteo Biancardi – la clientela acquista comunque, ma in proporzione meno rispetto solo a un anno fa. È più raro trovare chi fa acquisti di carne per la settimana e ora anche i 9-10 euro li pagano con la carta di credito».

Crisi dei consumi, dunque. Anche se Biancardi, come allevatore, non ha di che lamentarsi: 700 vacche nutrici per circa 1.400 animali di razza Limousine, tutti targati «It», Italia. E questo, assicura lui, «è un plus non indifferente ». L’allevamento di Maccastorna costituisce un polo privilegiato da cui rifornire piccoli allevatori-ingrassatori e catene di macellerie di paese e supermercati. «Il fatto di poter contare su capi nati e allevati in Italia ci permette di vendere i vitelli da ristallo del peso di circa 300 kg a 3,10-3,15 €/kg – spiega Biancardi, che è iscritto al Consorzio carni bovine documentate, realtà di prim’ordine nel panorama nazionale – e la richiesta di animali di qualità in purezza è elevata, tanto che nell’ultimo periodo, se avessimo avuto 50 vitelli in più al mese li avremmo collocati senza alcuna fatica».

LA TRACCIABILITÀ PREMIA
È la linea della tracciabilità – accanto, nel caso di Biancardi, alla razza Limousine in purezza – che premia. Certo, i risultati che si attendono i produttori potrebbero essere migliori.

Così almeno la pensa Pierromeo Vaccari, allevatore di Casteldidone (Cremona), quasi ultimo baluardo della zootecnia in una terra convertita ormai solo al melone tipico. «La situazione è grave – dichiara Vaccari – e la speranza è che i costi delle materie prime non subiscano accelerazioni in avanti. Altrimenti si chiude». Con un patrimonio zootecnico di 60 vacche nutrici e altrettanti animali da ingrasso, Vaccari ha sposato ormai da quasi 20 anni il ciclo chiuso, con fecondazioni artificiali interne su razze Charolais e Limousine.

«Siamo un po’ il presidio dell’ambiente e del territorio eppure non abbiamo riscontri significativi a livello economico. I prezzi di mercato per la Limousine in purezza, che è la più pregiata, si aggirano ancora intorno ai 2,5 €/kg, come 10 anni fa».

Spostando il punto di osservazione sull’orizzonte del Veneto, cuore pulsante di una zootecnia sempre più concentrata nelle regioni del Nord Italia, l’analisi non cambia. Anzi, per chi fa solo ingrasso aumentano i problemi. «I prezzi per i ristalli sono cresciuti – spiega Marcellino Furlani, allevatore di Isola della Scala ed ex presidente (ora al vertice c’è il figlio) della cooperativa zootecnica La Torre, 8mila capi allevati ogni anno –. Così per i produttori la forbice si è allargata, con costi in aumento per le importazioni dalla Francia e pressioni sempre più forti a rosicchiare il reddito sul versante dei macelli e della gdo. E non manca chi gioca sulle emergenze sanitarie, tipo la blue tongue». Un esempio per nulla casuale. Chi vuole infatti importare animali dalla Francia con tutta la documentazione sanitaria in regola e le certificazioni di avvenuta vaccinazione, sborsa circa 30 euro di più per singolo animale.

«Di fatto ci salva solo il costo dell’alimentazione, diminuito del 20% rispetto allo scorso anno per la contrazione dei prezzi delle materie prime. Ma è un attimo, se cresce il mais trascina tutto il resto e per il settore è panico».

PELLI? ORMAI UNA ZAVORRA

Non si può nemmeno contare sul pagamento delle pelli, che via via si è trasformato da una risorsa complementare a una zavorra per i macelli (e di rimbalzo per gli allevatori). «Effetto della crisi dell’auto e dell’edilizia – commenta il direttore del Macello di Pegognaga, Fabrizio Guidetti, il più importante stabilimento italiano di macellazione a livello cooperativo –. Prima fra divani e sedili per le automobili c’erano richieste. Ora riusciamo a collocare solamente le pelli dei vitelli, che per la loro morbidezza svolgono ancora una funzione importante per borse, scarpe e pelletteria pregiata».

Carne, è “solo” un assestamento - Ultima modifica: 2009-07-22T10:25:50+02:00 da IZ Informatore Zootecnico

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